Sono intervenuta da poco in aula sull’art.10 (piano straordinario di assunzioni) .
Questo articolo è un tassello fondamentale del provvedimento perché permetterà di attuare l’organico funzionale all’offerta formativa e permetterà di incrementare gli organici – per la prima volta dal 2008 – di 50.000 posti
Se sembrano pochi, a me, che ho memoria dei tagli che ancora stiamo patendo, paiono invece un deciso passo avanti.
Il dibattito di ieri sera però si è soffermato sull’altra faccia di questa medaglia e cioè sui docenti, ora precari, che andranno a costituire l’organico.
Lo abbiamo fatto con toni accesi, io per prima, ma i toni corrispondono al senso di responsabilità che sentiamo – almeno noi – nei confronti di chi attende le nostre decisioni come sentenze sul proprio futuro di professionista.
Lo testimonia il tenore – in molti casi crudo – dei messaggi che sto ricevendo da stanotte. Giustificati dalla posta in gioco.
Ed è difficile, molto difficile provare a fare giustizia dopo tanta iniquità.
Vengo al contenuto dell’ articolo 10, che sostanzialmente svuota le GAE, perché è da lì che si attinge per l’immissione in ruolo, e apre ad un concorso per 60.000 posti, destinati a docenti precari abilitati, in modo che velocemente possano entrare in ruolo, perché lo meritano.
Putroppo, lo ribadisco, l’errore compiuto dal legislatore di allora (cioè la Gelmini) di cui gli abilitati sono incolpevoli, è che al titolo abilitativo non è stato attribuito un valore concorsuale. Proporlo ora, come fa la Gelmini, è strumentale. Tra l’altro l’ex ministra cade anche adesso in profonda contraddizione, smascherando evidentemente una incoerenza di fondo. Da una parte infatti ipotizza un piano pluriennale di reclutamento valido per le GAE e per i TFA (dimenticandosi dei PAS), dall’altra boccia il piano straordinario di immissione in ruolo proposto dall’art. 10. Come si può bocciare lo stesso piano che permetterebbe il reclutamento? Del resto ha dichiarato in aula che è contraria alla logica dell’ampliamento degli organici nella scuola. Allora è legittimo chiedersi: come pensa di assorbire tutto il personale abilitato? Con un miracolo?
Nel 2006 ci fu un governo visionario – il governo Prodi – che voleva risolvere il problema del precariato della scuola coprendo tutti i posti vacanti mediante l’immissione di 150.000 docenti, chiudendo le GAE e riformando la formazione iniziale e l’immissione in ruolo per non creare nuovo precariato.
Quella visione si infranse velocemente (per responsabilità di quel governo ma soprattutto per responsabilità del governo Berlusconi): i docenti precari ripiombarono nel girone infernale delle GAE, delle GI, delle cattedre tagliate, dell’abilitazione a pagamento a carico degli aspiranti docenti ma, in particolare nei TFA, nonostante la selezione d’accesso, il legislatore nel 2010 non attribuì a questo titolo il valore concorsuale.
A distanza di 8 anni ci si ritrova esattamente al punto di partenza, come in un assurdo gioco dell’oca, con migliaia di docenti congelati nelle GAE e altrettanti nelle GI, preoccupati dalla possibilità di restare stabilmente fuori dalla scuola (per questo motivo abbiamo modificato l’art. 14).
Questo gioco dell’oca va interrotto, questi docenti non vanno più rinserrati in nuove gabbie, congelati in una nuova graduatoria inesauribile – tanto simile alla vecchia – per un periodo transitorio indefinito.
La soluzione non può essere l’attesa e lo sfibramento in un graduatoria, magari incappando in un governo che taglia nuovamente le cattedre.
Lo diceva ieri sera la collega Malpezzi: non va lasciato indietro nessuno, non vanno disperse e le competenze, le attitudini e i talenti di questi docenti, che, anzi, devono essere valorizzati.
Ecco perché, in commissione, è stata riscritta la norma sul concorso in modo che nel bando siano adeguatamente valorizzati in termini di maggior punteggio, ad esempio, il titolo di abilitazione conseguito dopo aver sostenuto una procedura selettiva pubblica e il servizio prestato.
Questo passaggio è estremamente delicato e andrà affrontato con perizia e capacità innovativa affinché il concorso non sia la sede per un accertamento di competenze disciplinari e non sia nemmeno un gioco al lotto con assurdi sbarramenti preselettivi, ma sia la sede per valutare le capacità e le attitudini didattiche.
Il collega Cuperlo, ieri sera, ci ha chiesto quale fosse la risposta più giusta da dare alla lealtà dei docenti precari mostrata nei confronti del loro lavoro e dello Stato.
Dopo tante promesse mancate, dopo tanta colpevole leggerezza nell’ affrontare un tema così complesso, dopo tanta spregiudicatezza, credo che la risposta stia nell’offrire altrettanta lealtà, fondata sul rispetto della legge e sulla chiarezza di precisi impegni realizzabili.
Essere precari significa scrivere la propria vita a matita, con il rischio che una gomma possa cancellarla. Noi, al netto delle scelte sbagliate di chi ci ha preceduto, vogliamo che quel progetto di vita possa essere scritto a penna. Definitivamente.
Pubblicato il 19 Maggio 2015