L´attuale «ora di religione» in Italia è un insegnamento, facoltativo, della religione cattolica, ed è il prodotto della revisione del Concordato del 1984. Non so se la futura «ora di religione» sarà obbligatoria, come qualcuno propone, ma so per certo che sarà plurale, dovrà necessariamente essere aperta a diverse fedi, non solo alla cattolica, e concretamente organizzata. La sfida del pluralismo è onerosa per tutti, non è una recente invenzione anticlericale, e nelle dimensioni poderose che ha oggi, è una conseguenza dei fatti (l´immigrazione), ma i laici non credenti facciano attenzione, è onerosa anche per loro, perché li mette in gioco alla pari: la cultura dell´eguale rispetto non accetta che qualcuno si autonomini «standard» liberale per conto di tutti, etsi Deus et ecclesiae non darentur. La situazione si complica, rompe le inerzie in ogni direzione, per i cattolici perché devono convivere con le altre confessioni in ristretto vicinato, e parlar di dialogo oltre che di missione evangelica. E per i laici missionari perché la neutralità dello stato liberale non è atea – e neppure atea di ateismo metodologico –, ma assegna la stessa dignità alla non credenza tra le altre credenze. È una sfida difficile – da noi finora molto ignorata – perché impone un cambio di paradigma e annuncia l´avvento del pluralismo liberale delle culture in senso forte. Si tratta di quella pluralità sconcertante di versioni del bene che Isaiah Berlin amava agitare, con un po´ di sadismo, nei confronti degli schematismi, non solo quelli bigotti, anche quelli illuministici.
La pluralità dell´insegnamento si potrà realizzare almeno in due modi: o con una «ora delle religioni» in chiave storico-antropologica o con opzioni differenziate per fede. Nel primo caso occorre introdurre subito nelle università un corso di laurea di teologia multi-confessionale (e avremo così insegnanti pronti tra una decina d´anni). Nel secondo bisogna mettere mano all´organizzazione concreta delle alternative. Il cambiamento sarà comunque inevitabile: l´immigrazione ha portato già ora in Italia cinque milioni (cinque, ripeto) di persone di varia provenienza, cultura e religione – Asia, Africa, Europa dell´Est, Medio Oriente –; al Nord superano il 15% della popolazione e la tendenza ne prevede un aumento nei prossimi anni: gli arrivi andranno a colmare il vuoto che si allarga a causa del pensionamento della generazione post-bellica. E con loro ci sono, e sempre più ci saranno, i bambini.
L´Italia sta cambiando, anche se gli italiani ne parlano solo quando qualche leghista propone di introdurre la segregazione nei trasporti pubblici o ai giardinetti. La situazione la conosce bene quella realistica categoria che sono gli insegnanti. E come potrebbero altrimenti, visto che nelle scuole del Nord-Est i piccoli forestieri sono il 9%, il 13% a Piacenza, Reggio e Modena, il 14% a Mantova, l´11% a Vercelli e Alessandria? (tutti i dati in Nuovi Italiani, di Dalla Zuanna, Farina, Strozza, Il Mulino ed. 2009) Un quinto o poco più di tutta l´immigrazione è di origine musulmana. Lasciando da parte i genitori, ci sono in Italia, residenti, 117mila ragazzi albanesi (maggioranza musulmana), più di 100mila marocchini (maggioranza musulmana), 35mila cinesi (non credenti, taoisti, buddisti), 25mila tunisini (maggioranza musulmana), 19mila serbi (maggioranza ortodossa), 17mila macedoni (due terzi ortodossi, un terzo musulmani), 11mila egiziani (maggioranza musulmana), 17mila indiani (induisti, musulmani). Di quale Italia, di quale religione, di quale scuola stiamo dunque parlando?
Le schermaglie giuridiche tra Tar, Consiglio di Stato, ministero, intorno all´ordinanza del ministro ulivista Fioroni (era il 2007) continueranno perché siamo in una situazione ambigua e inevitabilmente transitoria. E non si potrà non mettere mano a una diversa regolazione dell´insegnamento della religione, soprattutto dando attuazione (e risorse, dunque) agli insegnamenti alternativi. È vero che questo concretamente non è semplice, perché l´immigrazione in Italia non ha elevate concentrazioni omogenee, come accade per i turchi in Germania, ma la «polverizzazione» sta assumendo dimensioni di massa e già ora dunque le minoranze sparse per l´Italia potrebbero far ricorso alle vecchie intese, come quelle già esistenti con ebrei, valdesi, luterani e altri, e alla stessa legge del ´29 sui «culti ammessi», per ottenere dallo Stato insegnamenti diversificati in alternativa al cattolico. Quella legge prevedeva che «quando il numero degli scolari lo giustifichi e quando non possa esservi adibito il tempio, i padri di famiglia possono ottenere che sia messo a loro disposizione un locale scolastico per l´insegnamento religioso dei loro figli». Con i musulmani, che non hanno un´organizzazione centralizzata del culto, occorre promuovere una rappresentanza italiana con la quale realizzare quell´intesa che ancora non c´è. I lavori erano in corso, ma poi il governo Prodi cadde. E ora la Lega ne sta cancellando anche le tracce.
Sorprende la sordità e la cortezza di visione della politica italiana: la destra al governo è o leghista (ovvero del partito che organizza il maiale day in onore della sua visione del mondo, diciamo così, non pluralista) o berlusconiana (e perciò priva di autorità e credibilità nei confronti della Chiesa). Le due componenti hanno elevato inni in campagna elettorale contro la «multietnicità», che è peraltro un dato di fatto. La sinistra è divisa e non riesce a manifestare una visione chiara e coerente di quel che l´Italia è diventata anche in campo religioso, culturale, etnico. Si capisce perché in questa occasione si stia manifestando quella path-dependence lamentata da Giuliano Amato sul Sole-24Ore, ovvero quel riflesso condizionato che assegna ruoli fissi, integralisti clericali contro laicisti, oscurantisti contro biechi illuministi, ripetendo sempre le stesse parti nella stessa commedia. Un surrogato di politica, perché il cammino nuovo è faticoso e la svolta di cui la politica dovrebbe essere capace non è alle viste. Eppure un´intera nuova agenda è da aprire. La discussione sull´ora di religione ne è parte. Andrebbe assunta come una sfida positiva e bene accolta da tutti. C´è da temere che su entrambi i versanti prevalga il peggio, ma non è detto. Dipende.
Si tratta di vedere se da parte laica si è disposti a rinunciare a una linea di sistematica diffidenza verso la religione: nell´epoca del pluralismo forzato dalla globalizzazione capiterà sempre più spesso che i principi liberali si affermino insieme alle religioni, anziché in contrasto con esse. Strano, vero? Sempre più nel mondo, dall´India all´Europa, si manifesta il contrasto tra un polo progressista, liberale e pluralista (da Sonia Gandhi a Obama) e un polo cultore della purezza delle origini, anti-immigrati, conservatore (dalla destra induista del Bharatiya Janata Party alla Lega di Bossi). E da parte della Chiesa vedremo se la sfida di un mondo interdipendente e plurale, al quale la Caritas in veritate apre le braccia offrendo il suo capitale di solidarietà, sarà accolta come una benedizione del cielo o se prevarrà il riflesso difensivo della minoranza assediata che si rifugia nella sua dottrina esclusiva e dichiara il dialogo impossibile. Come Papa Ratzinger ha fatto.
La Repubblica, 24 agosto 2009
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