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“Gli scontri sulle cifre di un lavoro che non c’è”, di Dario Di Vico – Corriere della Sera 01.05.15

Per evitare di alimentare la confusione, la comunicazione dei dati statistici sul lavoro ha bisogno di compiere un salto di qualità e integrare le varie banche dati. Ed è importante che a proporlo nell’intervista di oggi rilasciata ad Enrico Marro sia lo stesso presidente dell’Istat, Giorgio Alleva.
La richiesta di un miglioramento della comunicazione non va letta in chiave strettamente politica e quindi non va inserita nel tritacarne delle polemiche tra filogovernativi e antigovernativi. Stiamo parlando di trasparenza e correttezza nei confronti dell’opinione pubblica, per allontanare le contraddizioni e le incomprensioni a cui stiamo assistendo da troppo tempo. I dati dell’Istat si aggiungono a quelli del ministero del Lavoro e a quelli dell’Inps e tutti assieme a loro volta si sommano a quelli delle organizzazioni internazionali: il risultato è una marmellata mediatica, a sviluppo pressoché quotidiano, che finisce per confondere le idee e serve solo ad aumentare i decibel delle risse da talk show .
Il caso di ieri è solo l’ultimo: mentre l’Istat rendeva noto come nel marzo 2015 il tasso di occupazione fosse calato rispetto al mese precedente dello 0,1%, nel bollettino mensile della Bce si sottolineava che «il miglioramento, in Italia e Spagna, del clima di fiducia dei consumatori ha coinciso con un calo del tasso di disoccupazione».
È evidente che la querelle sui numeri è figlia innanzitutto di una fase di estrema incertezza, dove la recessione è finita ma la ripresa non è cominciata, ed è la dimostrazione che non bastano decontribuzione e Jobs act per determinare un’impennata delle assunzioni. Ci vuole una vera ripartenza dell’economia reale. Il clima di scetticismo sull’occupazione fatica a diradarsi anche perché l’operazione Garanzia Giovani — interamente finanziata dalla Ue, non va dimenticato — è stata condotta finora in maniera mediocre. Avrebbe dovuto essere una grande occasione per spiegare ai ragazzi che bisogna imparare a gestire il proprio capitale umano e ci si deve muovere nell’ottica di aumentare l’occupabilità e invece nella migliore delle ipotesi sta diventando un test sui ritardi delle politiche attive del lavoro e delle differenti velocità tra amministrazione centrale e Regioni. Basta seguire l’impietoso monitoraggio assicurato da Adapt, l’associazione fondata da Marco Biagi, per averne contezza.
Il Primo maggio del 2015 cade quindi in questa congiuntura. Avremmo tutti voluto che fosse una «festa del lavoro ritrovato», chiaramente non lo è. L’addensarsi, proprio negli ultimi giorni, di (cattive) notizie circa tutta una serie di crisi aziendali può far pensare che, oltre alla difficoltà di produrre nuova occupazione, la coda delle drastiche ristrutturazioni industriali degli anni della Grande Crisi si stia rivelando più ampia e più lunga del previsto. Guardando con maggiore attenzione ai dettagli delle vertenze aperte emerge come sia difficile ricondurre a un’unica interpretazione o tendenza ciò che sta avvenendo nel sistema produttivo.
Due comunque sono le situazioni da seguire con maggiore attenzione, se non altro per il peso che hanno sul capitolo occupazione. La prima riguarda di nuovo l’industria degli elettrodomestici: racconta di una difficile fusione tra due realtà assai simili come Whirlpool Italia e Indesit e di un Sud che rischia di pagare il prezzo più salato. Gli esuberi di personale da Auchan, uniti alla crisi del Mercatone, fanno suonare poi un ulteriore campanello d’allarme: la grande distribuzione, che finora aveva assorbito occupazione — e altra prometteva di assorbirne —, dovrà sottostare, almeno per ciò che riguarda alcune significative realtà, anch’essa a un doloroso processo di riorganizzazione. Non l’avevamo messo in conto.