25 aprile. L’Italia festeggia la fine dell’incubo, il ritorno alla libertà, alla democrazia e alla dignità. L’importante, anche nel momento della festa nazionale, è tuttavia non dimenticare quanto disse Bertolt Brecht: «…Questo mostro stava, una volta, per governare il mondo! I popoli lo spensero, ma ora non cantiamo vittoria troppo presto: il grembo da cui nacque è ancora fecondo». È poi doveroso tenere sempre presente quel passaggio tagliente dell’Ecclesiaste, attribuito a re Salomone e tratto dalla Bibbia: «Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà». Contro quel retorico «Mai più», che abbiamo ascoltato fino alla noia e che sappiamo non essere vero, esiste quindi un solo antidoto: la memoria come preziosa e quotidiana compagna che ci aiuti a combattere, anzi ci imponga di combattere l’indifferenza. Al Museo Monumento al Deportato di Carpi, in provincia di Modena, vicino al campo di concentramento di Fossoli, si celebra questo 25 aprile, settantesimo anniversario della liberazione, con un’originale iniziativa: l’invito ad adottare l’ultimo pensiero dei condannati a morte della resistenza europea.
Sofferenze, coraggio, dignità
Le frasi-graffite nel Museo, tratte dal volume di Pietro Malvezzi e Giovanni Pirelli, uscito da Einaudi nel 1963, con la prefazione di Thomas Mann, sono il drammatico campionario continentale delle sofferenze, del coraggio e della straordinaria dignità dei resistenti di tanti Paesi, dall’Estremo nord al profondo sud dell’Europa, ciascuno con la propria sensibilità e il proprio carattere. Ecco perchè l’adozione di un pensiero prima della morte, al quale tanti hanno accettato di aderire, sarà protagonista della cerimonia, prima della visita al Campo Fossoli, dal quale transitarono, in attesa della partenza per i lager della morte nazisti anche 2.800 prigionieri politici. Colpiscono, questi frammenti di nobili lettere, non soltanto per la loro fierezza, ma perchè rappresentano un vero concerto di solidali voci europee, che nel momento più drammatico – per la vita di ciascuno di loro – esprimono una straordinaria coesione.
«Non piangetemi. Muoio per aver servito un’idea».
L’austriaco Franz scrive: «Contro l’idea della violenza, la violenza dell’idea». Il francese Roger: «Ti giuro che non ho mai avuto un momento di debolezza». La cecoslovacca Lida: «Aspettare la morte stanca». Il danese Lars: «Cara mamma, giornalmente leggi con la massima calma della morte di migliaia di persone. Cerca di sopportare la mia morte con la medesima calma. Io non sono che uno dei tanti». La romena Olga: «Figlia mia, tuo padre sarà anche madre per te». La greca Dimitra: «Alla mia tomba portate, quando potete, fiori rossi. Null’altro. E battete con ogni mezzo la barbarie». Il bulgaro Atanas: «Il secondino, con la tranquillità di un droghiere che segni sul suo registro un credito, ha scritto sul cartoncino che reca la mia firma: Morte». L’italiano Guglielmo: «Non piangetemi, non chiamatemi povero. Muoio per aver servito un’idea». Sono alcune delle voci. Assieme a tutte le altre, nei graffiti del Museo di Carpi, offrono una straordinaria lezione di coraggio, di umanità, di solidarietà. Per noi, cittadini europei, la lezione di queste vittime, oggi più che mai, dovrebbe valere il doppio.
Pubblicato il 25 Aprile 2015