Sulla controversa vicenda delle intercettazioni telefoniche c’è da prendere atto (mestamente) che il solo criterio che nessuno considera affidabile è l’autodisciplina dei media. Ovvero, il loro autonomo discernimento a proposito della rilevanza pubblica di quelle conversazioni; evitando (ovviamente) di pubblicare quelle che hanno carattere esclusivamente privato, la cui pubblicazione (vedi le varie macchine e macchinette del fango) ha il solo scopo di svergognare, umiliare e intimidire l’intercettato. La categoria dei giornalisti dispone, almeno sulla carta, di organi di autodisciplina interna, custodi della cosiddetta deontologia professionale. Per quanto corporativo, è un meccanismo che potrebbe avere una qualche efficacia: perfino il mondo del calcio, che non citerei come esempio preclaro di etica e autocontrollo, è in grado di comminare autonomamente provvedimenti disciplinari a carico dei suoi tesserati. In quarant’anni di giornalismo mi è capitato almeno cento volte di pensare che l’Ordine avrebbe potuto e dovuto intervenire a carico di conclamate porcherie di suoi iscritti; novantanove volte non lo ha fatto. Esattamente come accade ai politici, che essendo incapaci di darsi un codice di comportamento rispettabile sono poi soggetti, per forza di cose, al vaglio “esterno” della magistratura, così noi giornalisti paghiamo una imbarazzante incapacità di autodisciplina.
Pubblicato il 28 Marzo 2015