Un fantasma si aggira per le scuole italiane: l’«ideologia del gender», detta anche «propaganda omosessualista». Sentinelle spesso in piedi, cardinali apocalittici («il nichilismo, annunciato più di un secolo fa, si aggira in Occidente, fa clima e sottomette le menti») e genitori allarmati temono che i figli possano ricevere insegnamenti in grado di distorcere le loro menti. Per esempio che i concetti di mascolinità e femminilità sono costruzioni sociali che dipendono dai contesti storici e culturali, che la complessità delle relazioni non si esaurisce nelle dicotomie di sesso (maschio/femmina) e genere (uomo/donna), addirittura che alcuni loro compagni di classe potrebbero essere figli (contenti) di (buoni) genitori (ancorché) omosessuali. Pare che queste pericolose affermazioni abbiano oggi diritto di cittadinanza non solo presso l’American Psychological Associationo l’American Academy of Pediatrics, ma anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità e persino l’Onu, l’Unesco e l’Unicef. E che l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali a difesa delle differenze (Unar, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento per le pari opportunità), sostenuto da una raccomandazione del Consiglio d’Europa, abbia in cantiere di proseguire la programmazione di una strategia nazionale per la prevenzione delle discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Bene ha fatto dunque l’Associazione Italiana di Psicologia (Aip), punto di riferimento nazionale per gli psicologi che lavorano nelle Università e negli Enti di ricerca, presieduta da Fabio Lucidi, a riportare un po’ di razionalità per mezzo di un position statement «Sulla rilevanza scientifica degli studi di genere e orientamento sessuale e sulla loro diffusione nei contesti scolastici italiani». Che inizia così: «Oggi si assiste all’organizzazione di iniziative e mobilitazioni che tendono a etichettare gli interventi di educazione alle differenze di genere e di orientamento sessuale nelle scuole italiane come pretesti per la divulgazione di una cosiddetta “ideologia del gender”».
L’intento del documento Aip è «rasserenare il dibattito nazionale» e «chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di “ideologia del gender”». Esistono, invece, continua il documento, «studi scientifici di genere, meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studieshanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari». «Le evidenze empiriche raggiunte da questi studi mostrano che il sessismo, l’omofobia, il pregiudizio e gli stereotipi di genere sono appresi sin dai primi anni di vita e sono trasmessi attraverso la socializzazione, le pratiche educative, il linguaggio, la comunicazione mediatica, le norme sociali». In conclusione: «Favorire l’educazione sessuale nelle scuole e inserire nelle progettualità didattico-formative contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale non significa promuovere un’inesistente “ideologia del gender”, ma fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell’affettività, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni». Metodologie didattico-educative che, se adeguate, promuovono belle «occasioni di crescita personale e culturale per gli allievi e il personale scolastico». In fondo si tratta di insegnare agli studenti «una cultura dello scambio, della relazione, dell’amicizia e della nonviolenza». Anche a quegli studenti che, qualche giorno fa, su un autobus torinese, hanno picchiato un ragazzo perché era gay. Ma loro, forse, non erano stati educati alla varietà del genere umano.
L’intento del documento Aip è «rasserenare il dibattito nazionale» e «chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di “ideologia del gender”». Esistono, invece, continua il documento, «studi scientifici di genere, meglio noti come Gender Studies che, insieme ai Gay and Lesbian Studieshanno contribuito in modo significativo alla conoscenza di tematiche di grande rilievo per molti campi disciplinari». «Le evidenze empiriche raggiunte da questi studi mostrano che il sessismo, l’omofobia, il pregiudizio e gli stereotipi di genere sono appresi sin dai primi anni di vita e sono trasmessi attraverso la socializzazione, le pratiche educative, il linguaggio, la comunicazione mediatica, le norme sociali». In conclusione: «Favorire l’educazione sessuale nelle scuole e inserire nelle progettualità didattico-formative contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale non significa promuovere un’inesistente “ideologia del gender”, ma fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualità e dell’affettività, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni». Metodologie didattico-educative che, se adeguate, promuovono belle «occasioni di crescita personale e culturale per gli allievi e il personale scolastico». In fondo si tratta di insegnare agli studenti «una cultura dello scambio, della relazione, dell’amicizia e della nonviolenza». Anche a quegli studenti che, qualche giorno fa, su un autobus torinese, hanno picchiato un ragazzo perché era gay. Ma loro, forse, non erano stati educati alla varietà del genere umano.