Donne strappate alla vita senza distinzione di ceto sociale, età anagrafica, estrazione culturale. Nord e Sud Italia. Il femminicidio è un neologismo che indica ogni forma di discriminazione e violenza posta in essere contro la donna “in quanto donna”. Ma nella vita reale, il femmincidio è ossessione, amore malato, morte. Il 70 per cento circa delle uccisioni femminili avviene in ambito familiare. Ùn fenomeno fortemente connotato che trae origine dallo squilibrio nei rapporti di genere. Non si tratta di epidemia o emergenza, ma è ormai fenomeno endemico, con radici profonde nella nostra società. Sentiamo spesso parlare di “delitto d’amore”, “amante incompreso”, “passione impazzita” concetti che vanno scardinati dalle nostri menti, occorre avere il coraggio di chiamare queste azioni per quello che sono, omicidi. È allarmante constatare che i più raccapriccianti e mostruosi fatti di cronaca sono commessi da mariti, padri, ex fidanzati: persone che dovrebbero proteggere, tutelare, rispettare, e che invece con ferocia, tolgono di mezzo senza esitare chi ai loro occhi, è ormai divenuto solo un ostacolo. In appena tre mesi dall’inizio dell’anno sono oltre 15 le vittime in Italia strappate alla vita per mano di un uomo. I dati raccolti dal Viminale da marzo 2014 a marzo 2015 rivelano 137 donne uccise (-22,6% rispetto all’anno precedente), di cui 102 in ambito familiare. Rimane oggettivo il fatto però che in Italia una donna ogni tre giorni viene ammazzata, e dobbiamo smetterla di limitarci a valutare solo il numero delle donne uccise, poiché sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno assai più complesso ed eterogeneo, sommerso ma allo stesso tempo diffuso. Non possiamo affidarci solo al Diritto o a misure repressive per trovare una soluzione, poiché l’uccisione di una donna è spesso il gesto estremo giunto dopo anni di maltrattamenti fisici, psicologici, verbali e sessuali. Una donna deve recuperare l’autostima personale, capire di potercela fare e rendersi conto di non essere sola, e quando finalmente trova il coraggio di uscire dall’incubo di cui è protagonista, deve essere sostenuta e ascoltata. Istituzioni e società civile devono fare la propria parte, è quindi indispensabile, su scala nazionale, svolgere un’opera di educazione, sensibilizzazione e informazione al problema della violenza sulle donne, è prioritario riuscire a formare una rete di operatori professionali ed istituzionali pronti ad accogliere donne in difficoltà, ed individuare i primi sintomi dei maltrattamenti di cui sono oggetto da parte degli uomini. Fino a pochi anni fa il genere femminile era considerato inferiore e socialmente le donne erano accettate solo in quanto “figlie di, mogli di, sorelle di”; si tende a volerlo rimuovere, ma sino al 1963, se una donna tradiva l’uomo che l’aveva protetta ed appoggiata finiva in carcere. Il delitto d’onore in Italia è stato abrogato nel 1981, un atto eccessivamente recente, se osserviamo la cronologia della nostra storia giuridica. A distanza di anni però, è ancora ben presente la mentalità patriarcale e si fatica a sradicare la vecchia cultura del “mia o di nessun altro”. Alcuni studi hanno dimostrato come la prima causa di morte violenta di una donna, nel mondo, avvenga per mano di un uomo. I femminicidi quindi, rappresentano più che la vulnerabilità femminile, la debolezza maschile. L’immaginario collettivo identifica gli autori delle violenze come soggetti senza cultura, stranieri, pazzi, ma questo è assolutamente sbagliato. È bene sottolineare che il fenomeno riguarda tutte le classi sociali: imprenditori, studenti, operai, professionisti, impiegati e nell’ottanta per cento dei casi gli autori delle violenze sono italiani, insospettabili. Uomini considerati perbene, senza disturbi mentali. Il grande lavoro che dobbiamo fare consiste nel trasmettere ai nostri figli modelli differenti, spiegare che la sensibilità è un pregio, e l’uomo “che non deve chiedere mai” è una becera deformazione della realtà. La società deve aiutarli a riappropriarsi della propria identità trasformandoli in uomini liberi ed indipendenti. Anche l’informazione ha un ruolo fondamentale, ed è essenziale che i media trattino la violenza contro le donne in modo responsabile per creare una forte consapevolezza collettiva. Nell’inchiesta condotta per l’uscita del mio nuovo libro sulla violenza di genere “Non succederà mai più” ho incontrato molte donne presso gruppi di condivisione e case rifugio presenti sul territorio nazionale, hanno scambiato le loro impressioni condividendo attimi della loro traumatica esperienza, grazie all’aiuto di professionisti moderatori degli incontri. In questo viaggio, ho appreso inoltre testimonianze dirette di uomini che stanno provando a non picchiare, molestare o abusare. Vite molto diverse, ma così incredibilmente uguali. Non è stato semplice mantenere il “filtro giornalistico”, quando si trattano argomenti così complessi… ascoltare e sviscerare sin nel profondo le vicende personali che hanno distrutto l’esistenza di persone che oggi tentano con tutte le proprie forze, di uscire dal tunnel della violenza.
Pubblicato il 22 Marzo 2015