attualità, politica italiana

“I legami tra politica e burocrazia”, di Massimo L. Salvadori – La Repubblica 22.03.15

La bagarre scoppiata intorno all’ asse di potere Lupi-Incalza ha portato in primo piano nel dibattito pubblico la questione dei rapporti inquinati tra politica e burocrazia. Nel nostro Paese essa ha una storia senza fine e rappresenta un capitolo centrale nelle vicende legate alla corruzione. Non ci si può dunque meravigliare che in Italia la parola “burocrazia” equivalga a una parolaccia, sia sinonimo di un’arroganza che fa dei cittadini delle persone perennemente frustrate a causa dei bastoni messi tra le ruote di chiunque voglia combinare qualcosa di buono, di una inefficienza pianificata per consentire manovre a beneficio di corruttori e corrotti.
Là dove la burocrazia è stata tradizionalmente sentita come un potere opprimente posto al servizio delle classi dominanti, si è progettato di sopprimerla e di liberarsene una volta per tutte sostituendola con l’autogoverno. Fu questo l’obiettivo di Marx, di Lenin — il quale, guardando alla pessima burocrazia zarista, nella Russia del 1917 teorizzò che il proletariato vittorioso avrebbe distrutto alle radici l’apparato burocratico così che “nessuno possa diventare un burocrate” — e anche di Mao Zedong in Cina che durante la rivoluzione culturale scagliò le sue guardie rosse contro i “burocrati rossi”. L’ambizione di distruggere la burocrazia si rivelò un sogno, come mostrato dal fatto che è toccato proprio ai regimi comunisti di elevare la burocrazia a una posizione di potere senza precedenti. Eppure in altri Paesi la burocrazia, come nel passato, anche nel presente non è oggetto di discredito; anzi in alcuni quali ad esempio oggi la Germania, l’Austria e anche la Francia è rispettata e i burocrati non sono considerati nemici dei cittadini.
La verità — come ha spiegato in maniera insuperata, classica, Max Weber in Economia e società — è che senza la burocrazia la gestione delle moderne società complesse non sarebbe letteralmente possibile. Essa ricopre, infatti, un ruolo insostituibile nell’organizzazione degli apparati dello Stato, nell’amministrazione delle imprese, delle forze armate, dei partiti e dei sindacati, senza il quale si piomberebbe in un ingovernabile disordine. Naturalmente questo ruolo ha carattere positivo unicamente ad alcune condizioni: che operi secondo criteri di razionalità, un sistema di regole che non spetta ad essa darsi ma deve ricevere dal potere politico; che non ambisca, travalicando le sue funzioni tecniche, ad impadronirsi di un potere autonomo e autogestito, di cui è leva fondamentale «la trasformazione del sapere d’ufficio in un sapere segreto », che «costituisce il più importante strumento di potenza della burocrazia ed è in definitiva unicamente un mezzo per garantire l’amministrazione contro i controlli ».
Dopo avere chiarito l’indispensabilità e l’importanza della burocrazia, Weber ha messo d’altro canto in luce la sua pericolosità, che emerge allorché essa esula dai limiti che dovrebbero restare suoi propri. Superati quei limiti, allora inizia la degenerazione, che è enormemente favorita quando i leader dei partiti, i parlamentari e gli uomini di governo si rivelino impari ai loro compiti vuoi per la pochezza delle loro qualità vuoi per l’incapacità di esercitare nei confronti della burocrazia quel che detterebbe la loro responsabilità in quanto guide. Allora coloro cui spetta di essere al servizio dello Stato e della politica, ne diventano i padroni, assumendo impropriamente di fatto la parte di legislatori, di guide del processo politico, di tutori degli stessi parlamentari e governanti. È a questo punto che il rapporto politica-burocrazia si rovescia e la corruzione trova spianata la strada.
A chi tenga presente quanto sopra, non riesce difficile capire dove si collochi in tutta la sua portata la stortura della relazione tra il ministro Lupi e il grande burocrate Incalza. Peccato di Lupi sarà pure anche di essersi dato da fare, giovandosi della sua influenza, per agevolare la carriera del figlio. Ma il suo peccato non perdonabile è di natura interamente politica: essere giunto a minacciare — come inequivocabilmente rivelato dalle intercettazioni telefoniche — di far cadere un governo se si fosse toccato un burocrate che ha costruito la propria personale potenza accumulata in decenni, mettendosi al riparo del fatto che i governi passano e la burocrazia resta. Lupi legga Weber, e non farà fatica a capire quanto sia stato inutile spostare l’attenzione dal sodalizio tra lui, Incalza e compagni ai favori che dice di non aver chiesto per il figlio e all’orologio che personalmente non avrebbe accettato.