Il fotografo siciliano Ferdinando Scianna ha costruito un libro di foto che celebrano l’atto della lettura. Ecco la postfazione
Passione, per me, e certo non solo per me, è quella di leggere. Passione tardiva, ché nella mia casa di ragazzo, in Sicilia, i libri non facevano parte dell’arredamento e la sola lettura che non fosse considerata inutile, se non peccaminosa, era quella utilitaristica dei libri di scuola. Dovere, dunque, all’inizio, e come tutti i doveri, ingrato e vissuto come fatica. Ci sono volute fortunate rivelazioni e meravigliosi incontri perché scoprissi che leggere è un piacere, uno, anzi, dei più grandi piaceri della vita. Da allora leggo un libro dietro l’altro come si accendono fiammiferi per non avere paura del buio. Il buio dell’ignoranza, il buio della solitudine.
Se guardiamo qualcuno che legge ci appare solo, ma non è così. Chi tocca un libro, è stato detto, tanto più chi lo legge, tocca un uomo, una donna, coloro che lo hanno scritto, entra in contatto con loro tanto in profondità quanto è difficilissimo in un altro modo entrare in contatto con una donna, un uomo. Si può litigare con quello che si legge e con chi lo ha scritto ma ci si può anche identificare in un modo straordinario, come se le parole che si vanno leggendo, le idee che formano, le storie che raccontano, i personaggi che inventano, scaturissero da dentro noi stessi, dove scopriamo che in un certo modo esistevano già; come se lo scrittore, mettendole in forma, misteriosamente avesse voluto proprio farne germogliare l’esistenza dentro di noi.
«Bianca muntagna, niura simenza, e l’omu chi simina sempri pensa », dice un proverbio delle mie parti. Il bianco della carta come innevata montagna, semi le parole e lo scrivere un pensare. Leggere significa, dunque, inoltrarsi nella foresta generata da quei semi.
Si crede, di solito, che il leggere sia un gesto passivo, un semplice ricevere ciò che ci viene dato da chi ha scritto. Sappiamo quanto falsa sia questa idea, e comunque molto riduttiva. Leggere è in un certo senso riscrivere, ricreare, rivivere. Lo dimostrano le innumerevoli letture che diverse persone possono fare dello stesso libro. E non solo persone diverse. Tutti, credo, abbiamo vissuto l’esperienza, rileggendo un libro dopo tanto tempo, specialmente se la prima volta lo abbiamo incontrato da ragazzi, di scoprire, con meraviglia, che in quel libro troviamo cose assai differenti da quelle scoperte la prima volta e che come quel libro, soprattutto se è un grande libro, ci parlava allora così da vicino dei nostri problemi e sogni di adolescenti, adesso è esattamente delle nostre idee di oggi e dei nostri bisogni di persone adulte che ci parla.
Un libro è un mondo, certo, ma è cosa morta, terra disabitata se non viene vissuto e fatto vivere dal lettore, che a sua volta, rendendolo cosa viva, se ne nutre. Leggere significa vivere. È solo se si ama la vita che si leggono e si amano i libri. I libri possono consolare, è vero, o turbare, ma non possono sostituire l’amore per la vita, ne fanno parte. Se se ne va l’amore per la vita, scema anche il piacere di leggere. Così, per esempio, come con l’età si affievolisce la spinta all’esplorazione, alla scoperta e aumenta la necessità di tirare le somme, di dare un senso alle esperienze, allo stesso modo il piacere di leggere si affianca sempre di più, con il gioco della memoria, a quello di rileggere.
Jorge Luis Borges soleva dirsi più orgoglioso dei libri che aveva letto che di quelli che aveva scritto e in un suo poema si scusa se il caso vuole che sia lui l’autore di quel componimento e chi lo sta ricevendo il lettore. È possibile, dice Borges, che tu, lettore, migliore di me, metta in questa poesia più bellezza e verità di quanto io sia stato capace di fare.
Tutto ciò penso che ancora di più valga per un fotografo, per la fotografia. Di solito si usa l’etimologia della parola per dire che fotografare sia scrivere con la luce. Più entro in questa pratica e ci rifletto, più mi pare che fotografare sia invece propriamente un leggere, con i propri occhi e con gli occhiali della macchina e del linguaggio, ciò che il mondo con penna di luce ha scritto di sé. Per me fotografo, almeno per il tipo di fotografia che amo e cerco di praticare, la realtà è un inesauribile, infinito libro, infinitamente, inesauribilmente da leggere e rileggere.
Se guardiamo qualcuno che legge ci appare solo, ma non è così. Chi tocca un libro, è stato detto, tanto più chi lo legge, tocca un uomo, una donna, coloro che lo hanno scritto, entra in contatto con loro tanto in profondità quanto è difficilissimo in un altro modo entrare in contatto con una donna, un uomo. Si può litigare con quello che si legge e con chi lo ha scritto ma ci si può anche identificare in un modo straordinario, come se le parole che si vanno leggendo, le idee che formano, le storie che raccontano, i personaggi che inventano, scaturissero da dentro noi stessi, dove scopriamo che in un certo modo esistevano già; come se lo scrittore, mettendole in forma, misteriosamente avesse voluto proprio farne germogliare l’esistenza dentro di noi.
«Bianca muntagna, niura simenza, e l’omu chi simina sempri pensa », dice un proverbio delle mie parti. Il bianco della carta come innevata montagna, semi le parole e lo scrivere un pensare. Leggere significa, dunque, inoltrarsi nella foresta generata da quei semi.
Si crede, di solito, che il leggere sia un gesto passivo, un semplice ricevere ciò che ci viene dato da chi ha scritto. Sappiamo quanto falsa sia questa idea, e comunque molto riduttiva. Leggere è in un certo senso riscrivere, ricreare, rivivere. Lo dimostrano le innumerevoli letture che diverse persone possono fare dello stesso libro. E non solo persone diverse. Tutti, credo, abbiamo vissuto l’esperienza, rileggendo un libro dopo tanto tempo, specialmente se la prima volta lo abbiamo incontrato da ragazzi, di scoprire, con meraviglia, che in quel libro troviamo cose assai differenti da quelle scoperte la prima volta e che come quel libro, soprattutto se è un grande libro, ci parlava allora così da vicino dei nostri problemi e sogni di adolescenti, adesso è esattamente delle nostre idee di oggi e dei nostri bisogni di persone adulte che ci parla.
Un libro è un mondo, certo, ma è cosa morta, terra disabitata se non viene vissuto e fatto vivere dal lettore, che a sua volta, rendendolo cosa viva, se ne nutre. Leggere significa vivere. È solo se si ama la vita che si leggono e si amano i libri. I libri possono consolare, è vero, o turbare, ma non possono sostituire l’amore per la vita, ne fanno parte. Se se ne va l’amore per la vita, scema anche il piacere di leggere. Così, per esempio, come con l’età si affievolisce la spinta all’esplorazione, alla scoperta e aumenta la necessità di tirare le somme, di dare un senso alle esperienze, allo stesso modo il piacere di leggere si affianca sempre di più, con il gioco della memoria, a quello di rileggere.
Jorge Luis Borges soleva dirsi più orgoglioso dei libri che aveva letto che di quelli che aveva scritto e in un suo poema si scusa se il caso vuole che sia lui l’autore di quel componimento e chi lo sta ricevendo il lettore. È possibile, dice Borges, che tu, lettore, migliore di me, metta in questa poesia più bellezza e verità di quanto io sia stato capace di fare.
Tutto ciò penso che ancora di più valga per un fotografo, per la fotografia. Di solito si usa l’etimologia della parola per dire che fotografare sia scrivere con la luce. Più entro in questa pratica e ci rifletto, più mi pare che fotografare sia invece propriamente un leggere, con i propri occhi e con gli occhiali della macchina e del linguaggio, ciò che il mondo con penna di luce ha scritto di sé. Per me fotografo, almeno per il tipo di fotografia che amo e cerco di praticare, la realtà è un inesauribile, infinito libro, infinitamente, inesauribilmente da leggere e rileggere.