Droni. Robot casalinghi. Intelligenza artificiale. Sensori. Semantica. Macchine per la produzione additiva. La tecnologia non si ferma e non cessa di stupire. Mentre le sue conquiste più mature, quelle che solo un paio d’anni fa apparivano ancora dirompenti, come i social network o i cellulari intelligenti, generano ricchezze enormi e abilitano attività innovative in molti settori connessi.
La tecnologia non è un insieme di macchine. È parte integrante della cultura, crea nuove opportunità economiche mentre ne mette in discussione altre, lancia incessantemente sfide alla società. Comprenderla non è saperla usare: è sapersi sintonizzare sulla sua dinamica di sviluppo. Le possibilità che offre non si colgono se non ci si adatta al suo ritmo. Per questo non basta la – pur necessaria – fatica di metterla in funzione: occorre abbeverarsi alle sorgenti dell’ispirazione che motivano a interpretarne le conseguenze.
Le preoccupazioni o le speranze che la tecnologia genera si confrontano con l’immagine di futuro che si riesce a coltivare. E questa non discende da un sistema di previsioni codificato ma dall’osservazione attenta dei fenomeni carichi di futuro: non le banali novità, ma i fatti che spostano la traiettoria della storia o almeno di una microstoria. Per questo il futuro non si prevede ma si interpreta agendo, con la mente proiettata a comprendere le conseguenze dell’azione. Consapevoli della complessità degli ecosistemi nei quali si agisce.
La narrazione che inquadra l’idea di futuro è dunque un elemento essenziale della forma che la tecnologia assume. E se un paese rifiuta di pensare il futuro, inevitabilmente si separa dalla dinamica che lo genera, finendo per subirlo.
L’Europa è consapevole di tutto questo e tenta di reagire. L’Italia ne parla e tenta di comprendere ciò che dice. Ma gli italiani ci sono. In ogni territorio del loro paese ci sono innovatori agguerriti, capaci, insieme, di intelligenza e bellezza.
Le preoccupazioni o le speranze che la tecnologia genera si confrontano con l’immagine di futuro che si riesce a coltivare. E questa non discende da un sistema di previsioni codificato ma dall’osservazione attenta dei fenomeni carichi di futuro: non le banali novità, ma i fatti che spostano la traiettoria della storia o almeno di una microstoria. Per questo il futuro non si prevede ma si interpreta agendo, con la mente proiettata a comprendere le conseguenze dell’azione. Consapevoli della complessità degli ecosistemi nei quali si agisce.
La narrazione che inquadra l’idea di futuro è dunque un elemento essenziale della forma che la tecnologia assume. E se un paese rifiuta di pensare il futuro, inevitabilmente si separa dalla dinamica che lo genera, finendo per subirlo.
L’Europa è consapevole di tutto questo e tenta di reagire. L’Italia ne parla e tenta di comprendere ciò che dice. Ma gli italiani ci sono. In ogni territorio del loro paese ci sono innovatori agguerriti, capaci, insieme, di intelligenza e bellezza.