Mario, studente italiano, mi dice che ce l’aveva con me. Si era arrabbiato per l’articolo che scrissi dopo le europee di maggio, in cui criticavo la candidatura di JeanClaude Juncker alla presidenza della Commissione europea definendola la risposta più sbagliata al diffuso scontento emerso da quell’elezione. Ora che Juncker tira fuori dal cilindro un pacchetto di investimenti a sostegno della traballante economia europea e l’ex primo ministro polacco Donald Tusk si prepara a presiedere il primo vertice dei capi di governo dell’Ue, vale la pena di tornare a chiedersi chi salverà il progetto Europa. La mia risposta è che non si può salvare senza un più attivo coinvolgimento di Mario e dei suoi contemporanei, la generazione Erasmus e Eeasyjet. Ovviamente il salvataggio esige anche valide politiche dall’alto. Ma Super Mario cioè Draghi, il presidente della Bce, non può farcela da solo, neppure con un altro migliaio di miliardi di dollari in bilancio. Serve anche il giovane Mario. Non ho mai visto tanto pessimismo intellettuale riguardo al futuro dell’Ue tra chi (come me) ne è stato appassionato sostenitore. Le cause sono principalmente tre. Innanzitutto l’Eurozona. Loukas Tsoukalis, autorità in materia, nonché filoeuropeo, osserva che «il progetto era sbagliato tanto quanto le adesioni».
Troppe economie, troppo eterogenee, legate da una valuta comune senza fondi comuni. Questi fondamentali difetti di fabbrica sono stati aggravati dalla politica di austerità a guida tedesca che sottovaluta le differenze tra le culture economiche nazionali e la necessità di maggiori investimenti e di aggregazione della domanda all’interno dell’Ue. La seconda causa di pessimismo è la politica. Elezione dopo elezione, sondaggio dopo sondaggio, è emersa la profonda delusione degli elettori. Essa trova espressione sia in una maggiore apatia che nel successo elettorale dei partiti anti-sistema di ogni colore – dallo Jobbik in Ungheria al Fronte Nazionale francese passando per l’Ukip britannico e il tedesco Alternativa per la Germania fino al Movimento 5Stelle italiano al Podemos spagnolo e al Syriza greco.
Lo scontento nei confronti delle istituzioni europee supera quello a livello nazionale. Il pianeta Bruxelles è diventato simbolo della distanza tra élite politiche e cittadinanza. Benché il Parlamento europeo sia a elezione diretta e gli siano stati attribuiti maggiori poteri, l’impressione è di una rappresentanza popolare scarsa. E non esiste un’arena politica pan europea. I tre dibattiti televisivi tra gli Spitzenkandidaten, i principali candidati dei raggruppamenti partitici europei per il seggio di presidente della Commissione, sono stati seguiti da meno di 500.000 spettatori, mentre l’audience del primo dibattito tra i candidati alla presidenza Usa Barack Obama e Mitt Romney nel 2012 era sopra i 67 milioni.
Questo mi porta alla terza triste considerazione. Non mancano i manifesti, i progetti e i libri mirati al salvataggio dell’Unione Europea, ma in massima parte sono scritti da persone che si collocano dalla parte sbagliata dello spartiacque anagrafico dei 50 anni. Un valanga di appelli a rafforzare la “leadership” vengono da leader in pensione con l’idea che ai loro tempi le cose andassero meglio.
Vedo poche proposte da parte della generazione del giovane Mario. È strano, perché la sua è la prima generazione che ha vissuto l’Europa come unico spazio di libertà da Lisbona a Tallin, ad Atene, a Edimburgo. Ho chiesto su Twitter dei suggerimenti per questo articolo e qualcuno ha risposto «parla dei bambini nati da Erasmus ». Dan Nolan ha aggiunto «Erasmus obbligatorio per tutti», facendo riferimento all’intervista in cui Umberto Eco, il grande saggio, sostiene che «l’Erasmus ha dato vita alla prima generazione di giovani europei ed ha segnato una rivoluzione sessuale: un giovane catalano incontra una ragazza fiamminga; i due si innamorano, si sposano e diventano europei, come pure i loro figli. L’Erasmus dovrebbe essere obbligatorio, e non solo per gli studenti: anche per i tassisti, gli idraulici e i lavoratori».
Non sono proprio certo che il religioso Desiderius Erasmus da Rotterdam apprezzerebbe il fatto di essere sinonimo di rivoluzione sessuale, ma davvero esiste una realtà quotidiana vissuta così, un amalgama transnazionale. Nei sondaggi Eurobarometer condotti in tutta l’Ue la risposta più comune al quesito «che cosa significa per te l’Ue?» è «libertà di viaggiare, studiare e lavorare in tutti i Paesi dell’Unione». Anche se coloro che tendenzialmente non hanno fiducia nell’Ue sono quasi il doppio rispetto a quelli che tendono a riporvi fiducia, quest’ultima cresce col diminuire dell’età degli intervistati. Ad essere fiduciosi sono solo il 46% dei giovani tra i 15 e i 24 anni. Un giovane su due in Grecia e in Spagna è disoccupato e può a buona ragione domandarsi «cosa ha fatto per me l’Europa ultimamente? ».
Ciò nonostante sono numerosi i giovani — incluso un intero esercito di cittadini dell’est e del centro Europa post-1989 — ad aver tratto grande beneficio dal progetto europeo. Ma la loro voce in Europa si sente poco. In parte, credo, è proprio perché hanno già a disposizione l’Europa cui aspiravano le generazioni precedenti. Amano l’Europa ma essa non è la loro causa, il loro sogno. Ad appassionarli sono altre tematiche, altri luoghi: l’ambiente, la parità sessuale, la povertà globale, i diritti degli animali, la libertà di Internet, il cambiamento climatico, la Cina, l’Africa. Se le libertà fondamentali che apprezzano nell’Ue venissero improvvisamente revocate, senza dubbio si mobiliterebbero per difenderle — ma il declino dell’Europa, se ci sarà, probabilmente non porterà a questo. Le istituzioni resteranno, ma gradualmente si svuoteranno, come quelle del Sacro Romano Impero. Forse non sarà lanciato un allarme serio finché non sarà troppo tardi. (Per alcuni est europei il campanello d’allarme è Vladimir Putin, ma a quanto sembra non per la maggior parte degli europei dell’Ovest).
Però io sono anche del parere che noi europei più anziani non chiediamo ai giovani con frequenza e insistenza sufficiente che tipo di Europa essi vogliano. Qualche tempo fa sono stato contattato da un’istituzione europea che voleva verificare la mia disponibilità a partecipare alla formulazione di una nuova versione della dichiarazione di Schuman, che nel 1950 pose le basi di quelli che sarebbero stati i primi passi del cammino verso l’Ue odierna. Ho risposto che era meglio chiedere alla generazione post ‘89, alla generazione Erasmus. A quanto ne so l’istituzione ha in programma di contattare un gruppo di capi di Stato per redigere questa nuova dichiarazione. Buona fortuna. Abbiamo giusto bisogno di un’altra cosa del genere.
Sono quindi davvero grato al giovane Mario che si è dato la pena di arrabbiarsi con me. Forza, arrabbiatevi. Prendetevela con noi. Ma cambiatel’Europa. Bisogna farlo. ( Traduzione di Emilia Benghi)