Nel cuore del centro storico di Matera, in via La Vista, a un soffio dai tanti accessi ai Sassi, qualcosa si muove. «Le aule sono quasi pronte, stanno arrivando gli ultimi arredi. I laboratori di restauro e quelli scientifici sono in via di completamento»: Gisella Capponi, direttore dell’Istituto superiore per la conservazione ed il restauro, si riferisce all’ultima nata, la Scuola di restauro, figlia della prestigiosa sede romana, i cui corsi partiranno l’anno prossimo.
Un risultato che arriva alla fine di un lungo percorso. «L’Istituto, nel 2006, aveva pensato di aprire una Scuola nel Mezzogiorno e aveva scelto Matera, sia per il riconoscimento tributato dall’Unesco ai Sassi, sia per l’interesse e la sensibilità dimostrati dalle istituzioni del territorio, dall’Università alla Fondazione Zetema. Eravamo inoltre colpiti dal fascino indubbio di questa città», racconta Capponi. L’idea fu raccolta dagli enti locali, e dopo una serie di difficoltà logistiche e burocratiche, «il Comune ha messo a disposizione il complesso conventuale di Santa Lucia Nova, dove si terranno i corsi, che saranno a tutti gli effetti corsi di laurea magistrale a ciclo unico con durata quinquennale», come è stato definito nel 2011. Il bando uscirà a maggio per l’anno accademico 2015-2016, i posti saranno con ogni probabilità 20, si dovranno sostenere tre prove: una grafica, un test pratico-percettivo e una orale. Gli stranieri possono partecipare, purché superino un esame di lingua italiana.
«Sono previsti – spiega ancora il direttore – due percorsi formativi: il primo riguarda i materiali lapidei e le superfici decorate dell’architettura, con l’obiettivo di avere dei tecnici in grado di salvare realtà preziose proprio come quella materana; il secondo corso comprende manufatti e dipinti su supporto ligneo e tessile, manufatti scolpiti in legno, arredi e manufatti polimaterici».
La notizia della Scuola di restauro arriva in concomitanza con quella di Matera capitale della cultura europea 2019. C’è un nesso tra le due cose? «A onor del vero, no, sono indipendenti. Anche se la vittoria europea mi rassicura perché aumenta l’attrazione per la città e sono tranquilla che tutto verrà fatto. Allo stesso modo per la Scuola c’è stato subito un grande entusiasmo, ho ricevuto molte email in cui mi si chiedevano notizie: da parte di restauratori interessati alle docenze, o di centri di ricerca come il Cnr che si è dichiarato disponibile a collaborare con noi. Il mio intento è che, una volta istituita, si possano fare convenzioni con centri di eccellenza e ricerca della Regione, perché voglio che sia radicata nel territorio». La “Scuola madre” di restauro, quella romana, ha 71 allievi che a luglio e settembre lavorano nei cantieri attinenti ai percorsi formativi prescelti. Hanno fatto esperienze anche in Cina e Giordania.
«I corsi – tiene a specificare Capponi – hanno un forte carattere interdisciplinare. Oltre ai restauratori – uno per ogni cinque studenti, come prevede la legge – ci sono chimici, fisici, biologi, architetti, storici dell’arte, esperti di documentazione: è attraverso l’apporto di tante professionalità che si arriva ad ottenere un buon restauro. Gli allievi devono lavorare per l’80% su opere d’arte, non su prototipi».
Per Matera, dunque, un buon traguardo, la cui storia ha radici ancora più lontane. «Bisogna risalire – rievoca Raffaello De Ruggieri, presidente della Fondazione Zetema, associazione culturale che ha spinto moltissimo per questa Scuola – al 23 novembre del 1980. Il soprintendente Michele D’Elia, dopo il terremoto, doveva metter in salvo statue e tele sottratte alle chiese in parte crollate o pericolanti. Creò una specie di pronto intervento per il patrimonio in ambienti d’occasione. Poi si pensò di trovare un “ospedale da campo” dove ricoverare questi beni e con l’Amministrazione comunale si individuò un’ampia struttura nell’area artigianale Paip 1, dove si allestirono laboratori chimici, fisici, diagnostici». Questo il primo passo, ne seguirono molti altri che hanno portato all’interesse di carattere nazionale del 2006. Ma l'”ospedale da campo” fu in qualche modo antesignano della Scuola di restauro nella città dei Sassi.
«Sono previsti – spiega ancora il direttore – due percorsi formativi: il primo riguarda i materiali lapidei e le superfici decorate dell’architettura, con l’obiettivo di avere dei tecnici in grado di salvare realtà preziose proprio come quella materana; il secondo corso comprende manufatti e dipinti su supporto ligneo e tessile, manufatti scolpiti in legno, arredi e manufatti polimaterici».
La notizia della Scuola di restauro arriva in concomitanza con quella di Matera capitale della cultura europea 2019. C’è un nesso tra le due cose? «A onor del vero, no, sono indipendenti. Anche se la vittoria europea mi rassicura perché aumenta l’attrazione per la città e sono tranquilla che tutto verrà fatto. Allo stesso modo per la Scuola c’è stato subito un grande entusiasmo, ho ricevuto molte email in cui mi si chiedevano notizie: da parte di restauratori interessati alle docenze, o di centri di ricerca come il Cnr che si è dichiarato disponibile a collaborare con noi. Il mio intento è che, una volta istituita, si possano fare convenzioni con centri di eccellenza e ricerca della Regione, perché voglio che sia radicata nel territorio». La “Scuola madre” di restauro, quella romana, ha 71 allievi che a luglio e settembre lavorano nei cantieri attinenti ai percorsi formativi prescelti. Hanno fatto esperienze anche in Cina e Giordania.
«I corsi – tiene a specificare Capponi – hanno un forte carattere interdisciplinare. Oltre ai restauratori – uno per ogni cinque studenti, come prevede la legge – ci sono chimici, fisici, biologi, architetti, storici dell’arte, esperti di documentazione: è attraverso l’apporto di tante professionalità che si arriva ad ottenere un buon restauro. Gli allievi devono lavorare per l’80% su opere d’arte, non su prototipi».
Per Matera, dunque, un buon traguardo, la cui storia ha radici ancora più lontane. «Bisogna risalire – rievoca Raffaello De Ruggieri, presidente della Fondazione Zetema, associazione culturale che ha spinto moltissimo per questa Scuola – al 23 novembre del 1980. Il soprintendente Michele D’Elia, dopo il terremoto, doveva metter in salvo statue e tele sottratte alle chiese in parte crollate o pericolanti. Creò una specie di pronto intervento per il patrimonio in ambienti d’occasione. Poi si pensò di trovare un “ospedale da campo” dove ricoverare questi beni e con l’Amministrazione comunale si individuò un’ampia struttura nell’area artigianale Paip 1, dove si allestirono laboratori chimici, fisici, diagnostici». Questo il primo passo, ne seguirono molti altri che hanno portato all’interesse di carattere nazionale del 2006. Ma l'”ospedale da campo” fu in qualche modo antesignano della Scuola di restauro nella città dei Sassi.