Pare di vivere nell’età dell’odio. Dopo anni passati a stupirci che la crisi non producesse conflittualità sociale, ora lo scenario è cambiato. Il linguaggio della discussione pubblica ha quasi raggiunto la virulenza degli anni 70, e alle parole cominciano a seguire i fatti. Gli incendiari grillini sono stati scavalcati dalla rivolta di Tor Sapienza, mentre i centri sociali aggrediscono leader sgraditi (e provocatori), e quasi ogni giorno viene devastata una sede di partito.
Le cause sono molte. La sofferenza di chi perde il lavoro. La disperazione dei giovani che non lo trovano e talora neppure lo cercano. Ma anche la diffidenza reciproca di categorie che si detestano, di corporazioni che additano nelle altre la causa del male italiano assolvendo solo se stesse. E l’immigrazione senza controllo ha acceso una guerra tra poveri, scatenando la rabbia delle periferie e generando negli stranieri estraneità e frustrazione che, sommate al senso di impunità che lo Stato italiano comunica ai nuovi arrivati, minacciano di innescare tensioni già esplose ai margini delle metropoli europee.
La risposta della politica è debole. L’allarme di Napolitano sugli estremismi interni e sul timore di «lupi solitari» islamici è passato quasi inosservato. Il durissimo scontro tra Renzi e la Cgil non aiuta. Il baratro apertosi a destra è stato riempito da Salvini, che ha schierato la Lega con i nazionalisti francesi.
Sia chiaro: il passato non torna. Ma può insegnarci qualcosa. Il pericolo non viene solo dalle centrali del terrore; anche la violenza diffusa, l’odio manifesto, la crisi morale che ha il suo riflesso quotidiano nel degrado dei rapporti umani possono fare molto male alle nostre vite. La lezione della storia recente è che la violenza non va tollerata; altrimenti si riprodurrà in modo esponenziale. Com’è ovvio, il diritto a manifestare pacificamente non può essere messo in discussione: le prove di forza, di solito esercitate sui deboli, non servono a nulla se non ad alimentare la spirale dell’odio. Si tratta invece di ripristinare la legalità: non è possibile che chi si ritrova la casa «sequestrata» dal racket delle occupazioni non abbia gli strumenti per riprendersela, non è possibile rassegnarsi all’idea che in Italia sia lecito fare qualsiasi cosa senza prendersene la responsabilità. Nello stesso tempo chi partecipa alla vita pubblica dovrebbe tenere i nervi saldi, ristabilire un minimo di rispetto reciproco, e impegnarsi perché il governo italiano e quello europeo mettano in campo una politica sociale, che attenui la sofferenza e crei opportunità per i giovani. Il rogo dell’odio va spento, prima che ci avveleni l’aria e bruci le nuove generazioni.
La risposta della politica è debole. L’allarme di Napolitano sugli estremismi interni e sul timore di «lupi solitari» islamici è passato quasi inosservato. Il durissimo scontro tra Renzi e la Cgil non aiuta. Il baratro apertosi a destra è stato riempito da Salvini, che ha schierato la Lega con i nazionalisti francesi.
Sia chiaro: il passato non torna. Ma può insegnarci qualcosa. Il pericolo non viene solo dalle centrali del terrore; anche la violenza diffusa, l’odio manifesto, la crisi morale che ha il suo riflesso quotidiano nel degrado dei rapporti umani possono fare molto male alle nostre vite. La lezione della storia recente è che la violenza non va tollerata; altrimenti si riprodurrà in modo esponenziale. Com’è ovvio, il diritto a manifestare pacificamente non può essere messo in discussione: le prove di forza, di solito esercitate sui deboli, non servono a nulla se non ad alimentare la spirale dell’odio. Si tratta invece di ripristinare la legalità: non è possibile che chi si ritrova la casa «sequestrata» dal racket delle occupazioni non abbia gli strumenti per riprendersela, non è possibile rassegnarsi all’idea che in Italia sia lecito fare qualsiasi cosa senza prendersene la responsabilità. Nello stesso tempo chi partecipa alla vita pubblica dovrebbe tenere i nervi saldi, ristabilire un minimo di rispetto reciproco, e impegnarsi perché il governo italiano e quello europeo mettano in campo una politica sociale, che attenui la sofferenza e crei opportunità per i giovani. Il rogo dell’odio va spento, prima che ci avveleni l’aria e bruci le nuove generazioni.