Chissà se i picchiatori o assassini della loro donna placheranno la loro rabbia nella giornata dedicata alla violenza contro le donne: tanto per onorare la festa o per prendersi un giorno di riposo. Ma anche se fosse, cosa serve questo tipo di cerimonia, certo non a far rinsavire gli uomini che manifestano la loro debolezza maschile usando ciò che hanno in più delle signore, a meno che queste non siano campionesse di sollevamento pesi, cioè la forza o meglio la forza bruta. Già donne e ragazze ammazzate non sono più una gran notizia, a meno che le circostanze siano profondamente efferate o eccitanti, e infatti gli articoli sono raramente in prima pagina, talvolta anche solo poche righe, tanto la storia è sempre quella e quindi sempre meno interessante, ben lontana da uno scoop: a meno che trattasi di una celebrità, lei o lui. Su questa violenza maschile si è già detto tutto, l’han fatto medici, criminologi, vescovi, associazioni femminili, sociologi, psichiatri ecc. e tanti violenti sono finiti in galera, ma la certezza di certi uomini che la loro donna è cosa loro resiste ancora. In certi casi si è resa ancor più amara di prima: perché prima, mettiamo sino a una cinquantina di anni fa, le mogli erano mogli quasi sempre casalinghe, dipendevano economicamente dal marito e in più non esisteva il divorzio: e sposandosi avevano promesso ubbidienza. Le botte facevano parte del lato negativo dell’amore, anche per la pasta scotta, ma essendo abbastanza diffuse, certo ci si lamentava, ma si faceva di tutto per non “meritarle”, vendicandosi poi con corna che il picchiatore non riusciva a scoprire.
Non so se la giornata contro la violenza alle donne comprenda anche i casi di stupro, ma penso che siano l’espressione più crudele e stupida della rabbia maschile. Talvolta anche coniugali, più diffusi da parte di sconosciuti o di finti amici. Come cronista ho assistito forse ai primi processi per stupro negli anni ‘70: le donne avevano osato denunciare il violentatore, e sempre le madri difendevano il loro buon figliolo, che o non aveva fatto quella brutta cosa lì oppure erano stati costretti dalla ragazza: ma spesso anche avvocati e giudici erano dalla parte del maschio. Perché la stuprata portava gonne troppo corte, o non teneva gli occhi bassi, o era troppo carina, o addirittura aveva già avuto un fidanzato quindi non essendo più vergine, unico tesoro delle giovani donne, lo stupro non esisteva. Il primo processo a cui assistetti in cui l’uomo fu condannato, fu quello, celebre, tra una bellissima studentessa che secondo i difensori aveva osato seguire il professore in casa sua, e per forza quindi lui aveva dovuto approfittarne, anche perché le sue difese non gli erano apparse così strenue. Erano i tempi dell’esplosione del femminismo, gli uomini cominciavano a temere le donne, e il professore fu condannato.
Ciò che ancora non è chiaro, è cosa avviene nel cervello di un uomo che “per amore”, picchia, stupra, uccide. Pareva ovvio che non dovesse più succedere, con l’avvento della parità, della diffusione del lavoro e delle professioni femminili, dei mutamenti sociali e legislativi, della diffusione della cultura e persino di una religione sempre meno spaventata dalle donne. In questo senso gli uomini sono cambiati poco, per lo meno non quanto le donne che hanno persino capito che essere sole può in certi casi essere meno pericoloso o noioso che essere in due. Certo il loro cambiamento può averle rese antipatiche, disubbidienti, sprezzanti, litigiose, pretenziose: e libere, e molte volte, orrore, superiori. Irritando anche ossessivamente gli uomini che pensano che le donne abbiano il dovere di amarlo incondizionatamente come la loro mamma. Bisognerebbe forse far capire ai maschi sin da bambini, a scuola, il meglio, non il peggio, della differenza.