Parole e silenzio
Le parole sono quelle dei #Q96Scuola: sono parole giuste ed io ho avuto ed ho orecchie per ascoltarle. Il silenzio (parziale e presunto) che mi viene imputato è quello di chi si riserva di parlare nei momenti appropriati e di chi prende molto sul serio quello che fa (e ha pagato qualche scotto personale per averci creduto fino in fondo). Il silenzio di chi è stato accusato, illogicamente, di avere condotto una battaglia pur consapevole della sconfitta. Chi lo afferma pare dimenticare quanto accaduto solo 3 mesi fa, in occasione del decreto legge Madia. Allora lo voglio ricordare, sinteticamente: alla Camera è stato approvato l’emendamento a mia prima firma per il pensionamento dei Q96. Approvato prima in Commissione Affari costituzionali, poi dalla Bilancio (e non senza discussione con il governo) e infine dall’intera Aula, con un voto di fiducia sul testo complessivo del decreto. Al Senato, pochi giorni dopo e per unilaterale decisione del governo che ha assunto i dinieghi della Ragioneria dello Stato e dell’INPS nei confronti della copertura individuata alla Camera (tagli di spesa), la norma è stata stralciata e il nostro lavoro vanificato. Non mi soffermo, in questa sede, su cosa abbia rappresentato quel passaggio sotto il profilo del rapporto tra potere legislativo ed esecutivo, perché mi porterebbe lontano dall’argomento del post, ma è solo rinviata la riflessione sullo sbilanciamento che da anni è impresso all’equilibrio tra poteri dello Stato (questione non piccola). Ma di certo, se il Parlamento ha espresso la sua volontà su Q96, è il Governo che ha potuto decidere.
Il silenzio, quindi, non è una rinuncia. Mentre le parole possono alimentare false speranze. Cosa che non voglio fare. Non parlo per i colleghi, ma per me: dopo quanto accaduto in agosto, riterrei per voi totalmente insopportabile una nuova attesa tradita.
Nei 3 mesi che ci separano dal dl Madia, il governo poteva cambiare il proprio orientamento? Avrebbe potuto. E inizialmente lo ha affermato, annunciando un decreto ad hoc. Che però non ha mai visto la luce. Così come non v’è traccia di “ravvedimento” nelle Linee guida de La Buona Scuola, sebbene lì vi sia un piano assunzionale importante, che potrebbe assorbire il pensionamento dei Q96. Sono, questi, segnali inequivocabili sulle intenzioni del governo: abbiamo ugualmente agito perché su di esso vi fosse un “cambio di verso”, invano. Ecco perché ho ritenuto che non fosse fruttuoso, nelle settimane passate, presentare una interrogazione al governo per conoscerne le intenzioni su Q96: perché la risposta era nei fatti, sotto gli occhi di tutti.
Anche nella fase di preparazione degli emendamenti alla Legge di Stabilità si è discusso dell’argomento, ma il governo ha confermato il blocco alla soluzione di Q96: presentare un emendamento avrebbe significato prefigurare il ripetersi di quanto accaduto nel dl Madia.
Ma nel frattempo è intervenuto un fatto importante: la sentenza di Salerno (mercoledì sono intervenuta in commissione perché agli atti ne restasse memoria). Una sentenza che ha ridato speranza, perché conferma la bontà delle ragioni che portiamo avanti dal gennaio 2012. Una sentenza che non può essere ignorata: lo fu quella di Roma, dell’agosto del 2012, ma questa – che interviene su 42 ricorrenti – potrebbe rappresentare un tornante dell’intera vicenda. Nel merito, il governo dovrà esprimersi (e in questo caso, una interrogazione è invece utile e appropriata) perché non si può lasciare questa vicenda interamente nella mani dei tribunali.
Pubblicato il 8 Novembre 2014