La realtà, come al solito, sta asfaltando i sogni. Eserciti di analisti hanno discusso e realizzato report sballati.
Adesso è tutto un fare a gara su chi ammette di essersi sbagliato. Di non aver capito che la crisi è molto più aspra e duratura del previsto. Di aver illuso se stessi e gli altri indicando una luce in fondo al tunnel che non brillava né brilla adesso né brillerà nei prossimi mesi. Così che gli economisti paiono ridotti alla stregua di quei meteorologi incerti sul dirci se domani pioverà, per non dire dei sondaggisti che sbagliano ormai di 20 punti la performance del partito vincente.
È la rivincita della realtà. Realtà matrigna che pare vendicarsi di qualunque ricetta; e così sembra che nessuno abbia le chiavi per risolvere la crisi.
L’Italia certo continua con lena a fare i suoi compiti a casa. Il governo si accinge ad un braccio di ferro con l’Europa, checché se ne dica, predispone diverse misure e altre ne ha già realizzate.
Ma qualcosa è cambiato. Se il ministro dell’economia Padoan dice apertis verbis che la riforme daranno i loro frutti fra due anni, si comprende anzi che è cambiato molto. Cambiano i toni, se non il messaggio.
Renzi, arrivato a palazzo Chigi, diede la sensazione, persino oltre la sua volontà, di essere in possesso di un tocco magico capace di risolvere la situazione. Lui la seppe vellicare eccome, la corda dell’ottimismo: e questa è stata in un certo senso una novità per un leader di una sinistra che nel suo dna ha come parole chiave crisi, crollo, scontro, lotta, impoverimento.
Con il Renzi della primavera 2014 per un attimo era tornata l’Italia del dinamismo. Ora – forse – il Renzi dell’autunno parlerà un linguaggio magari meno immaginifico e creativo, ma più fermo e concreto.
È un passaggio delicato anche per lui personalmente, per come è, oltre che per come appare. Se si dimostrerà padrone di una situazione complessa che va calibrata su tempi più lunghi di quanto lui stesso prevedeva, e meno rigido nella gestione dei rapporti politici, sarà stata l’occasione per accrescere ulteriormente il suo standing politico. Perché è certo che di un comandante in capo c’è bisogno, a questo punto, non di un outsider.
Pubblicato il 19 Agosto 2014