Nell’articolo che riporto da La Stampa si lamenta le difficoltà di ingresso nelle Università straniere per gli studenti italiani. L’idea che potrebbe insinuarsi nel lettore (complice anche un titolo allarmistico) è che i “prestigiosi” atenei anglosassoni non si fidano del sistema di istruzione italiano e quindi delle competenze dei nostri studenti, ai quali verrebbe richiesta una valutazione superiore agli altri per potersi iscrivere. In realtà, a tutti gli studenti che non hanno conseguito l’International Baccalaureate è chiesto un punteggio molto alto, non solo agli italiani. E vale la pena ricordare che gli stessi “prestigiosi” atenei si affrettano ad accaparrarsi i nostri giovani ricercatori e laureati.
L’articolo, poi, si chiude accennando al prestito d’onore (che consente di non pagare le tasse scolastiche, per restituirle una volta conseguito il primo stipendio) come opportunità offerta alle matricole dagli atenei inglesi e ulteriore motivo di migrazione. L’autore, però, dimentica di dire (ma lo scorso anno diverse testate non sono incorse nella stessa dimenticanza) che nei sistemi anglosassoni, in particolare negli USA, l’indebitamento con gli istituti di credito per accedere all’università ha generato una bolla speculativa superiore a quella immobiliare! Aggiungo poi che la relazione della Corte dei Conti al rendiconto dello Stato, da diversi anni, certifica il fallimento delle esperienze regionali di prestiti d’onore. Come dire: sono ben altri gli strumenti da mettere in campo per rendere l’università accessibile al maggior numero di studenti, indipendentemente dalle loro condizioni sociali (perché è di questo che abbiamo bisogno e che l’Europa ci invita a fare). A questo proposito, ho presentato una proposta di legge per rendere gratuita l’iscrizione all’università a chi ha un Isee familiare al di sotto dei 21000 euro (e che dispone un adeguato incremento del fondo di finanziamento ordinario delle università). In questo modo potremmo recuperare il gap di laureati rispetto agli altri parsi europei e daremmo una possibilità vera di crescita al nostro Paese.
Restare in Italia o studiare all’estero? Non è una questione di “bamboccioni” o di fuga dalla crisi: la laurea in un paese straniero deve essere valutata come una possibilità al pari della formazione superiore in Italia. E’ qui che la politica deve fare la sua parte per rimuovere gli ostacoli che impediscono ad un giovane di valorizzare i propri talenti talenti e talenti e le proprie competenze: non sto pensando solo alla crisi economica, ma anche all’inerzia sociale, al corporativismo… Ma laurearsi in Italia è un investimento che vale ancora la pena di affrontare.
La Stampa.it 17.08.14
CON I VOTI DEI LICEI ITALIANI NON SI VA NELLE UNIVERSITA’ IN EUROPA
di Maria Corbi
L’e-mail che arriva è piena di ansia per un futuro troppo incerto. A scriverla è una ragazza di 18 anni,Rosa Maria Farsetti, studentessa romana di un liceo scientifico con il sogno di andare a studiare all’estero. Il problema, spiega la studentessa, è «che non solo siamo svantaggiati rispetto ai nostro coetanei europei se rimaniamo nel nostro paese vista la crisi e le poche prospettive, ma lo siamo anche se decidiamo di andare a studiare all’estero dove veniamo penalizzati per il nostro metodo di studio». Soprattutto in Inghilterra dove, effettivamente, agli italiani le Università chiedono un voto di ingresso più alto rispetto a chi ottiene l’International Baccalaureate o altri diplomi». Ed è in Inghilterra che si stanno concentrando le ambizioni dei maturandi italiani. Sempre di più scelgono di abbandonare gli atenei italiani e di provare in una università del Regno Unito (moltissime delle quali sono posizionate nei ranking tra le prime 100 al mondo) come rilevano i dati delll’Ucas, l’agenzia che si occupa della gestione delle domande di ammissione alle lauree di primo livello, gli “unde rg raduat e degrees. Ma non è così facile attraversare la manica ed entrare in un campus. Basta visitare i siti delle Università british per capirlo. Nel Russel Group, di cui fanno parte i più prestigiosi atenei, a uno studente italiano non viene chiesto meno di 90. A Bristol, per esempio, per Economia chiedono 95 e specificano che in matematica e altrematerie può essere chiesta la votazione di 10 o 9 (per matematica). Ma questi punteggi sono rari nelle pagelle italiane. Un problema culturale, come denuncia Beatrice Cito Filomarino, consulente dell’educazione, una figura sempre più presente nelle scelte scolastiche. Sono esperti che aiutano i ragazzi a costruirsi curricula adatti alla strada che vogliono intraprendere: Li supportano nella scelta e nelle application alle Università, e spesso organizzano per loro esperienze di lavoro estive, che contano molto per essere presi in considerazione dalle migliori università del mondo. «Lo studio è il dovere per eccellenza di noi ragazzi ma se non ci danno le carte per andare avanti, come diavolo si aspettano che facciamo? », chiede Rosa Maria. «Più che un sogno, l’Inghilterra è una necessità. Renzi ci ha pregato di rimanere in Italia per farle un paese più bello….?». Prima ci dicono che siamo bamboccioni, che vogliamo restare a casa, poi che non ce ne dobbiamo andare…». Rosa Maria non lo dice ma il sottotitolo è chiaro: «fate pace con il cervello ». Una questione di prospettive future di lavoro ma non solo. Visto che le università inglesi hanno molte agevolazioni dedicate agli studenti europei. Concedono l’accesso al «loan», ossia al prestito d’onore. per cui i ragazzi non pagano le tasse scolastiche (sulle 9mila sterline l’anno)ma rimborseranno il debito solo una volta che inizieranno ad avere uno stipendio superiore alle 21mila sterline, E la rata sarà del 9 per cento sulla differenza tra la busta paga e 21mila sterline, considerate la soglia di sussistenza.Con un tasso di interesse poco più alto di quello di inflazione. E con la certezza che dopo 30 anni il debito sarà comunque estinto. Garantito anche l’alloggio che può costare dalle 2mila alle 3mila sterline all’anno. Per non parlare della Scozia dove per un italiano studiare è gratis