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“Un trimestre non fa primavera”, di Alberto Bisin

Continuano a rincorrersi gli annunci della fine della crisi e dell’inizio della salvifica ripresa: il presidente Obama la settimana scorsa, poi la Fed, e infine ieri la Banca Centrale Europea. Anche i mercati azionari, che tipicamente anticipano la ripresa rispetto al ciclo economico, paiono quantomeno ottimisti.

Ma veniamo da un anno di politiche monetarie estremamente espansive in tutto il mondo e i mercati sono carichi di capitali investiti in liquidità e quindi assetati di rendimenti e di rischio. Le banche centrali poi, come del resto i governi, dopo un anno di brutte notizie hanno tutto l’interesse a diffondere la buona novella dell’imminente ripresa. I governi, in particolare, sono pronti a dichiarare il successo delle proprie misure di stimolo fiscale.

Commentando l’ottimismo del presidente Obama la scorsa settimana, su queste colonne, argomentavo che in realtà poco sappiamo su quando inizierà la ripresa. E nulla è cambiato. Continuiamo a saperne poco. E’ notizia di ieri, ad esempio, che la Francia e la Germania, unici in Europa, hanno segnato un andamento del Pil addirittura positivo nel secondo trimestre del 2009. Questo ha colto tutti gli osservatori completamente di sorpresa. Appunto: le previsioni a breve termine, in condizioni difficili come quelle in cui si trova l’economia mondiale, sono un terno al lotto.

Il caso di Francia e Germania è interessante perché suggerisce un sano scetticismo non solo nei confronti delle previsioni di breve periodo, ma anche nei confronti degli effetti degli stimoli fiscali. La Francia ha attuato politiche di una certa entità, ma tutti ricordano i lamenti dell’Europa sull’esiguità degli interventi della Germania.

Insomma, meglio prendere questi proclami come ottimismo dovuto e interessato, senza rallegrarsi troppo per la Francia e la Germania né deprimersi per l’Italia e la Spagna. Meglio invece cercare di guardare al medio periodo o addirittura al lungo periodo: è più importante e ne capiamo di gran lunga di più. Sappiamo innanzitutto che sistemi economici di mercato hanno una notevole capacità ad uscire dalle crisi cicliche: le imprese e i settori meno produttivi sono ridimensionati e capitale e lavoro sono riallocati verso imprese e settori in cui si prevede forte crescita. La riallocazione è costosa, ma non è un trimestre che fa la differenza, almeno in economie sviluppate con un sistema di sicurezza sociale ragionevolmente efficiente.

La ripresa avverrà quindi. Ma la questione più importante è un’altra: quanto vigorosa sarà questa ripresa? Quanto rapidamente si tornerà ai livelli di disoccupazione precedenti alla crisi? Purtroppo a questo proposito è ad oggi impossibile essere ottimisti. Prima di tutto, a livello globale, non si è intervenuto con la necessaria forza sul mercato del credito: si sono limitate le perdite agli azionisti delle banche, ma proprio per questo il sistema finanziario non è ancora capitalizzato a dovere e quindi contribuisce stentatamente alla riallocazione del credito verso imprese e settori produttivi. In secondo luogo, la ripresa non potrà che essere tarpata dai vincoli di bilancio dei governi che hanno generosamente fatto ricorso alla spesa pubblica e al debito: in un paio di anni non potremo non vedere una qualche combinazione di nuove tasse e inflazione. Anche la ristrutturazione dei rapporti commerciali della Cina con Stati Uniti ed Europa appare procedere a rilento, così come la nuova struttura regolativa dei mercati finanziari. Tutto questo non fa sperare in una ripresa rapida.

La situazione per l’Italia è purtroppo ancora più scura. Non tanto per la crisi, contro cui possiamo fare poco altro che aspettare, ma piuttosto perché le prospettive di crescita del Paese sono caratterizzate da limiti strutturali che persistono da decenni e ci condannano alla stagnazione: un sistema pubblico ipertrofico e inefficiente, un mercato del lavoro ancora troppo poco flessibile, in cui perdere il lavoro spesso significa non trovarne un altro, una situazione pensionistica esplosiva che garantisce rendite e privilegi alle generazioni precedenti il baby boom, una questione meridionale drammatica che costringe il Nord a un enorme carico con minimi effetti su servizi pubblici e investimenti al Sud, un fisco esoso e ingiusto che punisce i lavoratori dipendenti, una scuola e un’università che troppo spesso proteggono gli insegnanti a scapito degli studenti.

Non continuo per carità di patria. Ma questi sono i temi economici importanti da affrontare, non se la ripresa inizierà nel primo e o nel secondo trimestre 2010.
La Stampa 14.08.09