Sulle preferenze Berlusconi e Verdini sbagliano. A loro non piacciono. Neanche a me piacciono. Non piacciono né a loro né a me perché con il voto di preferenza i partiti rischiano di spaccarsi e di diventare una rete di comitati elettorali dei vari candidati. Le preferenze favoriscono la corruzione, l’influenza delle lobbies, il potere delle organizzazioni criminali in certe aree del paese. Quando i partiti erano forti facevano meno danni. Ai tempi della Prima Repubblica il Pci ha convissuto tranquillamente con il voto di preferenza. I suoi candidati in lista non si azzardavano a fare campagna elettorale per conto proprio. La mattina delle elezioni i militanti passavano in sezione a ricevere istruzioni su chi votare. E tutto filava liscio. Gli eletti erano esattamente quelli che aveva deciso il partito, nell’ordine deciso dal partito. Era come se il voto di preferenza non ci fosse. Partito e ideologia erano gli strumenti di raccolta del consenso.
Per la Dc era diverso. Il voto di preferenza era il meccanismo su cui si reggeva l’organizzazione delle correnti su cui era strutturato il partito. Ma era anche uno strumento formidabile per la raccolta dei voti. Certo, già allora si vedeva come le correnti minassero la coesione del partito. Ma il partito c’era, se non altro perché era stabilmente al potere. La Dc ha convissuto con il voto di preferenza adattandovisi alla sua maniera. E poi c’era il collante dell’anticomunismo che, insieme alle spoglie da distribuire, teneva insieme il sistema delle correnti.
Oggi è diverso. Con partiti deboli come gli attuali il voto di preferenza è rischioso. Ma senza cosa succede? Succede che Berlusconi può scegliersi i candidati che vuole ed evitare una competizione fratricida tra i suoi. Ma a che prezzo? Al prezzo di rinunciare all’attivismo dei suoi in campagna elettorale. Infatti che interesse può avere un candidato in una lista bloccata a fare campagna elettorale? Nessuno. La sua elezione dipende dal suo posto in lista. Se è in cima si può vincere anche senza darsi da fare. Se è in fondo perde anche dandosi da fare. È il partito che ha interesse a raccogliere voti perché senza voti ovviamente non si prendono seggi. Ora, fino a quando il partito era “lui”, il Cavaliere vincente, non c’era bisogno di candidati che facessero campagna elettorale per mobilitare gli elettori moderati. Ci pensava “lui” e bastava. Anzi candidati attivi potevano essere fastidiosi, potevano frammentare il messaggio. La competizione doveva essere tutta incentrata su di “lui”. Era il cavaliere che prendeva i voti, non i candidati. Loro erano comprimari. Il protagonista assoluto era “lui”.
Ma “lui” oggi non è più quello di una volta. È un cavaliere dimezzato che alle ultime elezioni politiche ha perso più di sei milioni di voti. Forse si illude di poterli recuperare ma non è così. Il ciclo berlusconiano imperniato sulla sua figura è vicino alla fine. Forse comincerà una seconda fase del berlusconismo. Non si può dire. Le scelte del fondatore non sono note. Probabilmente nemmeno a “lui”. Ma in questa fase non potrà mai esserci un capo come “lui”. Ed è qui che Berlusconi e Verdini sbagliano sul voto di preferenza. Quando c’era “lui” le preferenze non servivano. Con un altro al suo posto servono, eccome. Nella seconda fase del berlusconismo, accanto a un nuovo candidato premier, ci vogliono candidati di lista da sguinzagliare sul territorio a caccia di voti per sé e quindi per il partito. Tanto più che i candidati comunque verranno scelti da “lui”. A furia di parlare di preferenze ci si dimentica che per procurarsele occorre prima essere messi in lista. E questo potere di nomina è saldamente in mano a chi comanda dentro i partiti.
Insomma, Forza Italia non si può più permettere le liste bloccate. Ma questo non vuol dire che il voto di preferenza sia diventato lo strumento ideale. Non è così. Resta uno strumento con tanti difetti e qualche pregio. Ma cambiano i tempi e cambiano le convenienze. Bisogna adattarsi. Tutto qui. Ma Berlusconi e Verdini non lo hanno ancora capito. Toti forse sì. Una soluzione di compromesso sulla questione delle preferenze conviene a tutti. Anche a chi le preferenze non le ama.
Il Sole 24 Ore 29.07.14