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"La diplomazia di Babele", di Luigi Bonanate

Il vuoto politico crea dei mostri, avrebbe potuto dire Goya. Una specie di ombra nera sta coprendo il mondo: è fatta di violenza, per un verso, e di assoluta inettitudine politica, dall’altra. Sotto questa cappa nessuno sa più che cosa fare. Non Putin che è incapace di controllare le frange estreme dei suoi accoliti o sta ingannando il mondo intero; non l’Unione Europea che non sa che pesci pigliare nello stabilire chi (tra le tante degne persone – nessuno ne dubita – che sono in lizza) possa diventare il suo rappresentante internazionale; non gli Stati Uniti, che per voler andare d’accordo con tutti non vanno più d’accordo con nessuno.

Ma siamo ancora abituati a guardare agli Stati Uniti come al primo e più importante protagonista della vita politica internazionale, e non riusciamo a capacitarci delle prove di inettitudine che da quel paese vengono in continuazione. Sia ben chiaro: non sono in discussione le gaffes del Segretario di Stato Kerry, ma l’incapacità politica statunitense ad affrontare le novità e, più ancora, le sorprese. Ma chiediamoci, con almeno un pizzico di finta ingenuità, perché ci giriamo sempre verso gli Usa? In un mondo che, dopo la fine del bipolarismo avrebbe dovuto essere formato soltanto più da Stati uguali tra uguali, e tra i quali soltanto più qualche differenza economica avrebbe potuto complicare i loro rapporti, in questo mondo ci accorgiamo tutti i giorni che la capacità statunitense di incidere sulla realtà, di far pesare la saggezza che deriva dalla loro esperienza e dalla forza (anche militare) di cui dispongono, non si incontra mai con le difficoltà che appaiono all’orizzonte. E nessuno dice nulla. Se la diplomazia è la modalità con la quale gli stati “si parlano”, ebbene sembra oggi giorno che nessuna diplomazia sia in grado di esprimersi in modo comprensibile. Due gravi crisi sono in corso e non se ne capisce più nulla. Non sappiamo che cosa succeda in Russia: se l’abbattimento dell’aereo di linea malese è stato voluto o autorizzato da Putin o se la cosa sia successa contro la sua volontà ci è non soltanto ignoto ma ormai irrilevante, mentre rivela che Putin non è in alcun modo affidabile. Israele effettua quelli che sono stati improvvidamente definiti dei raid “mirati” sulle installazioni militari di Gaza, ma la mortalità che risulta sembra poco coerente con quel tipo di azioni. La gente muore e quasi non se ne capisce il perché: nessuno dei due riuscirà mai a sterminare l’altro. Nello stesso tempo, abbiamo appena assistito al nuovo, terzo, insediamento di Assad alla presidenza della Siria, dopo delle elezioni assolutamente inaffidabili, dove probabilmente hanno votato più morti che vivi: ma non abbiamo detto nulla! Adesso la Turchia litiga con Israele ma anche con l’Egitto…
Come possiamo interpretare questo ingorgo politico-internazionale? La politica è troppo difficile per lasciare che se ne occupino i politici. O meglio: forse i politici non si occupano a sufficienza di ciò che succede lontano da casa e pensano che non li interessi se non limitatamente. Le cose stanno nell’esatto contrario: è il modo in cui gli Stati si mettono in rapporto l’uno con l’altro che decide che cosa poi succederà all’interno di ciascuno di loro. Le guerre, tanto per capirci, scoppiano nei rapporti internazionali e sono le loro esigenze che determinano i le azioni degli stati. Ciò significa, ovviamente, che la massima attenzione debba essere sempre rivolta al piano internazionale anche nell’ambito della politica interna che ha determinato. Bisogna che i politici sappiano fare politica: purtroppo, ce lo si lasci dire, sembra il contrario! La diplomazia deve servire prima delle crisi, non dopo, per curarle. Che oggi nessuno riesca a immaginare una soluzione positiva e pacifica per il conflitto arabo-israeliano non è perché una soluzione non esista, ma perché nessuno ha voluto seriamente cercarla.
Non dimenticando mai che la violenza non è la fine della politica ma un suo strumento e che la politica necessita di una profondissima riforma, ora, per poter ragionare, dobbiamo imporre una tregua alle parti, evitando sproloqui, malintesi, strafalcioni e metterci tutti insieme al lavoro. Sapendo che nulla si ottiene, al mondo, se non lo si paga: ma quello delle vite umane è un prezzo inaccettabile.

L’Unità 22.07.14