Un socialista al posto che fu di Olli Reh,I il cerbero della disciplina di bilancio in formato austerity
Quella che fino all’altra sera poteva parere un’ipotesi da fantascienza, è diventata una prospettiva concreta ieri, dopo che Jean-Claude Juncker l’ha evocata davanti all’assemblea degli eurodeputati del gruppo Socialisti&Democratici suscitando legittima (e piacevole) sorpresa ma anche parecchie domande.
Se il candidato alla presidenza della Commissione ha ritenuto di potersi sbilanciare affermando chiaro e tondo che il commissario agli Affari Economici e Monetari «sarà un socialista» (del quale circola già il nome: quello del francese Pierre Moscovici), significa due cose: la prima è che ha parlato sulla base di un qualche accordo predefinito. Non ha detto, infatti, «io proporrò un socialista». Non ha espresso un proposito: ha dato una notizia. La seconda cosa è che non teme defezioni di rilievo tra le file dei popolari quando,tra sei giorni, dovrà sottoporsi al voto (segreto) del Parlamento.
Non che la fronda della destra del gruppo possa essere determinante, visto che per lui voteranno comunque i socialisti, i Verdi e i liberali, ma per Juncker sarebbe comunque un problema politico se venisse eletto con l’ostilità certificata di una porzione troppo ampia del proprio schieramento di provenienza. C’è da pensare, perciò, che abbia ricevuto qualche rassicurazione in proposito. Ed a chi se non dalla componente del Ppe che ha più forza, più potere e – diciamo così – più appoggi, cioè quella tedesca eterodiretta dalla cancelleria? Se ne ricava un sillogismo: Juncker vuole un socialista alla guida degli affari economici e monetari nella futura Commissione, la cancelliera tedesca non dice no a Juncker, ergo la cancelliera tedesca vuole un socialista agli affari economici e monetari ed è pronta ad accettare Moscovici o chi sarà. La logica non fa una grinza, ma contraddice tutto quello che s’era visto e sentito dire fino alla vigilia. E cioè che Angela Merkel e il suo ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble come successore di Rehn avrebbero voluto Jyrki Katainen, finlandese come lui e soprattutto, come lui (anzi forse ancor di più), campione del rigore. Kataynen avrebbe fatto coppia con lo spagnolo Luis de Guindos,un uomo che ha molti debiti di riconoscenza con Berlino, piazzato alla presidenza dell’Eurogruppo. Oppure,secondo uno schema che viene ipotizzato in questi giorni tra Bruxelles e Berlino, avrebbe assunto anche la guida dell’Eurogruppo con l’unificazione tra le due cariche. Che cosa è successo, allora?
Non era vero che Merkel e Schäuble puntavano su Katainen, come, senza essere smentiti, sostenevano in Germania i media «amici»? Oppure hanno cambiato idea? È aperta la caccia alle illazioni. Le quali non sono poi tanto campate per aria se si considera che dietro al carosello dei nomi ci sono solidissimi fatti di sostanza. Qual è, veramente, la posizione dei vertici di Berlino sulla questione che, generalizzando a larghe spanne, si può rubricare sotto il titolo «margini di flessibilità»? Da quanto hanno riferito deputati italiani che hanno partecipato alla riunione con Juncker, questi avrebbe manifestato un atteggiamento abbastanza aperto. «Ha espresso disponibilità», secondo il capogruppo del Pse&D Gianni Pittella e «impegno per garantire più flessibilità», secondo Alessandra Moretti. E valgono in proposito le considerazioni di sopra: non si sarebbe sbilanciato tanto se non contasse su un qualche assenso preventivo del Ppe,e cioè, inevitabilmente, degli eurodeputati popolari tedeschi. E però non si può certo dimenticare che il presidente del gruppo popolare è quel Manfred Weber nel dibattito sull’apertura della presidenza italiana ha attaccato durissimamente le posizioni italiane sulla flessibilità. Weber non è uno che passava lì per caso: un mese fa è stato eletto alla guida del gruppo con una maggioranza schiacciante: 190 voti (tra cui quelli italiani, alla faccia della coerenza) su 194. E poiché viene dalle file della Csu «sorella» della Cdu di Angela Merkel, se deve valere anche qui la logica del sillogismo, si è autorizzati a ritenere che la cancelliera la pensi esattamente come lui. Ci sono delle incongruenze, insomma. E possono avere una sola spiegazione: a Berlino regna l’incertezza. C’è un fronte rigorista senza se e senza ma che si è espresso l’altro giorno in modo molto vigoroso con il presidente della Bundesbank Jens Weidmann e ci sono posizioni più aperte non tanto sul capitolo della «flessibilità» in sé e per sé, perché la formula canonica è che il Patto di Stabilità va rispettato alla lettera, quanto su quello dei piani per gli investimenti e delle disponibilità in termini di risorse proprie dell’Unione e di politiche nazionali favorevoli alla crescita. Per esempio, in Germania, il rafforzamento della domanda interna e il ridimensionamento delle esportazioni. Lo scontro è, e sarà sempre di più, su questa trincea.
da L’Unità