La politica ha sempre una logica. È quella che fa riferimento ai numeri e al consenso. E quindi ai rapporti di forza. E quel che è successo ieri dentro il Movimento 5Stelle è esattamente la dimostrazione che la politica alla fine trova la sua utilità in quella logica.
ERA diventato impossibile anche per un “istrione” come Beppe Grillo confinare i consensi del suo movimento nel congelatore dell’inazione e dell’isolamento. Ibernarli per un presunto futuro radioso che però non stava sorgendo all’orizzonte.
Le aperture al dialogo cui l’ex comico è stato costretto dai suoi stessi sostenitori trovano la ragion d’essere proprio in quella “logica della politica”. L’ultimo risultato elettorale, quello delle europee, ha lasciato il segno. Il 40,8% del Pd e il sostanziale arretramento dell’M5S hanno decisamente invertito i rapporti di forza. Grillo ha dovuto adesso — forse in maniera definitiva — prendere atto che la sua linea politica ha perso. La trincea del “no” ad ogni confronto era già stata travolta il 25 maggio scorso, quella sconfitta è stata ora metabolizzata. Con un effetto, però, in grado potenzialmente di imprimere una svolta a questa legislatura nata poco più di un anno fa sotto i peggiori auspici. Ossia la possibilità di assegnare un carattere costituente almeno al prossimo biennio di vita parlamentare.
Il presidente del consiglio si trova davanti una chance unica. È forse la prima volta che un capo del governo o un leader di partito in Italia ha la concreta possibilità di modificare la Costituzione e contestualmente di cambiare la legge elettorale con una maggioranza ampia e trasversale. Renzi e il Pd, infatti, possono far valere per intero i rapporti di forza che si sono determinati dopo il 25 maggio. Il rischio della marginalità che ha spaventato prima Forza Italia, ora sta terrorizzando il gruppo dirigente grillino. Il pericolo di essere inessenziale sta unendo i due carissimi nemici, Berlusconi e Grillo, e li fa muovere sulla stessa direttrice. Quella che porta all’intesa con i democratici per le riforme. Compreso l’Italicum. Sulla legge elettorale il premier potrebbe ora ritrovarsi un fronte che mette insieme sostanzialmente la coalizione del suo governo con le due principali opposizioni: Forza Italia e M5S. Trasformando la politica del doppio o del triplo forno in quella del “forno condiviso”. Un’occasione unica ma anche insidiosa se mal utilizzata. Del resto, se davvero le aperture pentastellate verranno confermate e se l’ex Cavaliere non cambierà improvvisamente rotta, il fronte che dirà si alle prossime riforme, formerà il nuovo arco costituzionale di una eventuale terza Repubblica. Non farne parte equivale a autoescludersi dal gioco democratico per molti anni. Non a caso anche la dissidenza all’interno del Partito democratico appare sempre più solo come una battaglia di testimonianza. L’asse del no dentro il Pd si presenta incapace infatti sia di modificare l’impianto della revisione costituzionale, sia di minacciare — come extrema ratio — la vita del governo. E sembra non tenere conto della possibilità di realizzare l’obiettivo per il quale era nato il Pd: diventare un partito a vocazione maggioritaria.
La chance di condurre davvero in porto le riforme sembra — la prudenza è d’obbligo — dunque concretizzarsi. Sprecarla potrebbe rivelarsi esiziale per tutti. Per Renzi che si sta giocando tutto su questa opzione, ma anche per l’intero sistema dei partiti uscito frastornato e umiliato dall’ultimo ventennio.
da La Repubblica