Ha sparigliato di nuovo le carte ieri il presidente del Consiglio italiano nel suo discorso di insediamento alla guida del Semestre europeo. Ha scelto il registro della passione, dell’ispirazione e dell’emozione, al posto dell’elenco minuzioso dei punti programmatici che scandiranno i prossimi sei mesi. Non si è fatto imbrigliare da un discorso paludato.
E ha preferito relegare ogni dettaglio tecnico sulla politica economica e le altre sfide europee a una misteriosa cartellina distribuita ai parlamentari per i compiti a casa. Come a dire, i dettagli e i tecnicismi ve li studiate dopo, io sono qui per parlare di «politica» e scaldare i cuori.
E così Matteo Renzi anche stavolta parla a braccio, con il consueto esile canovaccio, guarda a destra e a sinistra con grande sicurezza, gli scappa la solita mano in tasca, che poi cerca di riportare saldamente ad afferrare il leggio come per impedirsi di lasciarla andare, e si muove con massimo agio tra citazioni massime (Aristotele e Dante, Pericle ed Enea, il Colosseo e il Partenone) e citazioni minime: se facessimo un selfie dell’Europa vedremmo stanchezza, noia e rassegnazione. Questo metodo è parte del suo messaggio ed è impensabile che cambi. A Firenze come ai vertici di Bruxelles.
Un colpo da maestro di Matteo-il-comunicatore. Il più giovane premier italiano di sempre che dentro ad una delle istituzioni della vecchia e ingessata Europa, tutta tecnocrazia e cavilli, il regno dei burosauri e dei procedimenti ipercomplicati, ha l’ardire di mettere da parte i richiami all’ortodossia (nel senso letterale di metterli in una carpetta) e di provare a risvegliare il sogno europeo. Dopo l’incubo della crisi, Matteo il nuovo coach dell’Europa è lì a dire che il sogno di una comunità di popoli non si è ancora dissolto. Whatever it takes to save the European dream potremmo dire, parafrasando Draghi. Invece dell’euro e dello spread, prima di tutto la Comunità Europea. Quella di Monnet, Schumann e Spinelli, una comunità di popoli o una federazione di Stati, che vada oltre qualsiasi nazionalismo. «La grande sfida che l’Europa ha di fronte a sé è quella di ritrovare l’anima, perché se dobbiamo unire le nostre burocrazie, a noi basta la nostra». E la generazione Telemaco (copyright Massimo Recalcati) è lì pronta ad assumersi le proprie responsabilità e a raccogliere l’eredità dei padri.
E non c’è dubbio che in una Europa vecchia e stanca, ingobbita dagli anni bui della recessione, piuttosto che dei discorsi ingessati di un Van Rompuy, di un Juncker o di una Angela-rigore-e-ordine, ci sia bisogno proprio di un Matteo.
Dunque bene che Renzi voglia proporre una visione e non la somma di misure tecniche. Ma con tutta la benevolenza che giustamente instilla, va detto che la visione ancora non c’è. Difficile pensare che la scommessa di una nuova Europa possa stare appesa allo scambio tra riforme interne e un po’ di flessibilità, qualche margine in più per le spese messe sotto la voce investimenti, o tempi un po’ più lunghi per pagare il debito. Il vero snodo per cambiare verso all’Europa è seguire l’esempio americano. Serve un vero e proprio New Deal, come ha ribadito Romano Prodi anche ieri in una intervista a Radio Capital: un piano keynesiano di massicci investimenti in settori strategici come infrastrutture, formazione superiore e banda larga, mentre si chiede ai governi nazionali di diventare più efficienti e mantenere rigidamente i conti in ordine.
Se il premier vuol mettere il suo talento e la sua forza a servizio della nuova Europa dovrebbe sfruttare questo momento di grazia e il semestre per riscrivere l’agenda seguendo la lezione di Delors, non per negoziare piccoli margini di flessibilità che non portano lontano e che sollevano immediatamente le critiche dei Paesi del Nord e della Germania. Lo scambio da chiedere è tra riforme e rigore finanziario interni contro massicci investimenti comunitari per la crescita, concentrati nei Paesi in cui la crescita non s’intravede. Questa sì che sarebbe una strada coraggiosa e una proposta veramente alternativa all’austerità! Certo, sei mesi non basteranno, ma Renzi può davvero essere lo sprinter d’Europa, come ha titolato oggi Le Monde, e porre le basi per un’Europa meno austera. Se solo sposta il traguardo un po’ più lontano.
La stampa 03.06.14