Il governo non sta preparando alcun intervento di correzione sui conti pubblici, ma entro quest’anno dovrà, tra l’altro, reperire un miliardo di euro per fronteggiare l’emergenza dei lavoratori in cassa integrazione e in mobilità in deroga. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, spiega che ancora non è stata presa una decisione su come attuare quella parte della riforma Fornero sul mercato del lavoro che fissa criteri più rigidi per l’accesso agli ammortizzatori sociali in deroga (quelli pagati dalla fiscalità generale e non dai versamenti delle imprese) e ne limita la durata anche con l’obiettivo di ridurne gli abusi. La Cgil stima che, da qui alla fine dell’anno, c’è il rischio che perdano il sostegno al reddito circa 50 mila persone. Si aggraverebbe
ulteriormente la situazione occupazionale. Fronte delicatissimo anche sul piano politico. Poletti ribadisce che il Jobs Act non prevede alcun intervento diretto sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori come invece propongono alcuni settori della maggioranza. E alla affermazioni del ministro dello Sviluppo, Federica Guidi, ex presidente dei Giovani di Confindustria, secondo cui la legge del 1970 sarebbe datata, Poletti replica: «Lo Statuto continua ad avere il suo valore per la tutela dei diritti dei lavoratori». Per i giovani bisogna insistere sul piano Garanzia Giovani: 100 mila sono state le registrazioni in questo primo mese e dalle imprese sono arrivate oltre 3.500 offerte di impiego.
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Intervista
Entro l’anno dovrete trovare le risorse per la cassa in deroga. Quanto serve?
«Un miliardo di euro».
Non è poco di questi tempi e dovrete reperirlo prima di varare la legge di Stabilità.
«Lo vedremo. Possiamo farlo anche con la legge di Stabilità».
L’esaurirsi della cassa in deroga rischia di trasformarsi in emergenza sociale. L’avete presente, visto che avete previsto di ridurre il sostegno al reddito da 12 a otto mesi?
«Non abbiamo ancora deciso nulla. È la legge Fornero che prevede dal 2014 l’uscita graduale dalla cassa integrazione e dalla mobilità in deroga. Per questo il precedente governo aveva predisposto un decreto per la modifica dei criteri per l’accesso alla cassa e alla mobilità in deroga e ridotto di un miliardo le coperture finanziarie. Non credo che oggi ci siano le condizioni tecniche per smontare o cambiare radicalmente quel provvedimento. E c’è anche un problema di risorse: nel 2014 abbiamo dovuto utilizzare quelle stanziate per finanziare la cassa in deroga del 2013 che altrimenti sarebbe stata scoperta e ora dobbiamo trovare le coperture per il 2014. Comunque non è stato approvato ancora alcun decreto, dobbiamo ancora decidere. Voglio anche far notare che la cassa in deroga è finanziata da tutti i cittadini, sono le tasse che finanziano la cassa integrazione
in deroga, non le imprese. Ed è bene non chiudere gli occhi davanti al fatto che nel ricorso alla cassa in deroga ci sono stati evidenti
eccessi».
Il leader Cgil, Susanna Camusso, ha definito la fine della cassa integrazione in deroga “un disastro” e paventa licenziamenti di massa, migliaia di persone senza più reddito. Esagera?
«Le protezioni sociali si riducono ma non saltano del tutto. Tutti gli ammortizzatori sociali ad un certo punto si esauriscono. Mi sembra concettualmente sbagliato sostenere che le imprese licenziano perché non ci sono più gli ammortizzatori sociali. Le aziende licenziano, purtroppo, quando non hanno più bisogno di determinati lavoratori».
A proposito di licenziamenti, una parte della maggioranza che sostiene il governo, dal professor Pietro Ichino al presidente della Commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi (Ncd), propone di modificare ulteriormente l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. Qual è la posizione del governo?
«È ovvio che ci siano diversità di posizioni nella maggioranza. Il governo terrà conto di questa discussione e lavorerà perché emerga una posizione unitaria di tutta la maggioranza».
Ma il governo ha all’ordine del giorno un ritocco dell’articolo 18 che tutela dai licenziamenti senza giusta causa?
«La legge delega non prevede interventi sull’articolo 18».
Eppure, per quanto a titolo personale, la sua collega allo Sviluppo economico, Federica Guidi ha detto a Repubblica che lo Statuto dei lavoratori è un testo “datato” e che dunque l’articolo 18 può essere superato. Lei è un uomo di sinistra, già dirigente del Pci, pensa che lo Statuto abbia perso il suo valore?
«Io penso che lo Statuto continui avere valore. C’è un terreno che vale sempre ed è quello della tutela dei diritti di chi lavora. Su questo fronte lo Statuto ha svolto assolutamente bene il suo compito. Poi, con la delega sul lavoro, il famoso Jobs Act, abbiamo avviato una discussione organica, complessiva, sulla riforma degli ammortizzatori sociali, sugli istituti contrattuali all’interno dei quali andrà trovato un nuovo equilibrio. Per questo sono contrario a fare ragionamenti su punti specifici che rischiano di diventare
fuorvianti».
Ma lei pensa o no che si possa superare lo Statuto?
«Non credo che superamento sia il termine giusto perché lascia intendere una volontà negativa, noi cercheremo un punto più avanzato di equilibrio».
Chi nei fatti non è interessato all’articolo 18 sono i giovani, o perché disoccupati o perché assunti a termine o con altri contratti atipici. È di due giorni fa la notizia del flop del bonus Letta: sono stati assunti 22 mila giovani contro una previsione di 100 mila. Non pensa che la Garanzia Giovani che avete lanciato da maggio possa rischiare la stessa fine?
«Sono due tipologie di intervento assolutamente diverse. Gli incentivi di Letta erano finalizzati all’assunzione in un posto di lavoro stabile. Cercheremo di capire perché non hanno funzionato. Se necessario semplificheremo le norme ».
E la Garanzia Giovani?
«Offre ai giovani un’opportunità per non restare a casa a fare nulla. Mi pare che il fatto che in soli due mesi si siano iscritti in 100 mila è un segno di attivismo positivo. L’altro aspetto importante è che le imprese abbiano offerto 3.500 occasioni di lavoro, tra contratti di apprendistato e stage».
C’è una bella discrasia tra le 100 mila registrazioni e i 3.500 posti. Non crede?
«È ovvio che ci sia. Questi dati non comprendono però il lavoro che stanno facendo le Regioni. Resta il fatto che questo sia un percorso del tutto innovativo e del tutto trasparente».
Come stanno andando i contratti a termine a tre mesi dalla riforma?
«Mediamente bene. Nel secondo trimestre dell’anno le imprese sembrano
intenzionate ad aumentarne l’utilizzo: +7,3% rispetto al 2013».
C’è un capitolo che non riuscite a chiudere: quello degli esodati. La scorsa settimana ha annunciato una toppa, salvaguardando altri 32 mila lavoratori. Quando una soluzione strutturale?
«Intanto vorrei dire che non è affatto una toppa: abbiamo salvaguardato altre 32 mila persone. Poi vorrei che si capisse che ci sono tantissime situazioni che non sono tecnicamente ascrivibili alla categoria degli esodati: persone che perdono il lavoro senza avere ancora i requisiti per andare in pensione. Anche per queste situazioni andrà trovata una soluzione».
Il cosiddetto prestito previdenziale può essere una soluzione?
«Può essere una delle opzioni, ce ne saranno diverse a seconda dei casi».
Esclude che si possa introdurre un meccanismo flessibile sull’età pensionabile?
«L’età pensionabile resterà quella della riforma Fornero. Ci potranno essere flessibilità ma non legate all’età. Per esempio per una persona a cui manca un anno alla pensione e perde il lavoro bisognerà studiare una forma di sostegno al reddito per quell’anno».
La Repubblica 30.06.14
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