La ricerca e l’innovazione sono i motori dello sviluppo economico dei paesi. Questo è ancora più vero per i paesi industrializzati che non possono competere con quelli emergenti in base ai costi di produzione. L’uscita da questa crisi finanziaria globale sarà sicuramente trainata dalle innovazioni che si stanno manifestando, al punto che difficilmente la ripresa si baserà sugli stessi consumi e sugli stessi investimenti presenti prima di essa. Le imprese lo sanno e si stanno attrezzando. Quelle che saranno costrette a ripetere lo stesso ciclo di prodotto, dovranno fare molta attenzione ai costi e alla qualità della produzione, perché saranno attaccate dalle imprese dei paesi emergenti che hanno fatto passi da gigante.
Come sostenere la ricerca e l’innovazione per permettere al nostro paese di agganciare anche in modo qualitativo la prossima ripresa? I soldi sono necessari e il governo, malgrado un contenimento complessivo dei fondi alle università, ha avviato un meccanismo, per ora solo marginale, che premia la ricerca. Ma la ricerca vive anche di un clima ad essa favorevole, fatto di tolleranza per chi s’inoltra in terreni sconosciuti e di flessibilità per recepire le innovazioni.
Ogni innovazione che deriva da una ricerca genera una piccola rivoluzione, perché rende obsoleti vecchi sistemi, fa decadere alcuni centri di profitto a favore di altri, mette fuori competizione chi si attarda su vecchi sistemi, rovescia le gerarchie facendo spesso emergere le nuove generazioni a danno di quelle vecchie, abbatte convinzioni consolidate e dure a morire. In altre parole, la ricerca e l’innovazione sono spesso eversive, proprio perché modificano gli equilibri consolidati. Per questo motivo sono spesso osteggiate in vario modo dagli interessi costituiti: corporazioni d’imprese che vedono cadere le loro posizioni di vantaggio, dirigenti e professori che si vedono scavalcati dalle nuove leve, ideologi e politici che temono di perdere la loro capacità d’influenza. La storia è piena di racconti relativi ai mille ostacoli che spesso s’incontrano sulla via dell’innovazione.
Ma la storia ci dice anche che i paesi più aperti all’innovazione sono quelli che crescono di più e dove la democrazia ha basi più solide. Per questo è bene aprire il campo all’innovazione e creare attorno ad essa un clima favorevole e non ostativo. Ed è per questo che va vista con preoccupazione la recente vicenda, in Italia, della pillola Ru486 la cui introduzione nel nostro paese è ostacolata da più soggetti. Questo ritrovato, che evita l’aborto chirurgico, è ormai disponibile nei maggiori paesi ed è stato abbondantemente testato. L’opposizione della Chiesa cattolica è nota. Nessuno contesta il diritto della Chiesa cattolica ad esprimere le proprie posizioni e ad emanare i propri divieti. Semmai c’è da dubitare della sua capacità di autorevolezza, se essa ritiene che sia necessaria una legge dello stato perché i credenti rispettino i suoi precetti.
Il problema sta nella risposta dello stato italiano a queste pressioni. Se esse prevarranno, allora si saprà che sui temi legati alla vita l’Italia non sarà mai un campo di sperimentazione e di ricerca. Potrebbe sembrare questa una limitazione di poco canto. Ma non è così. La ricerca e l’innovazione stanno proprio invadendo i campi della vita e quelli del corpo umano. Nuovi materiali biologici, interconnessioni tra biologia e Ict, nuovi medicinali mirati sui singoli individui, sistemi per potenziare specifiche funzioni del corpo, progressi nel campo del concepimento, della nascita, della prevenzione di malattie genetiche, della durata della vita, sono tutti ambiti che intersecano questioni morali ed etiche. Saremo chiamati in continuazione a dare risposte ai progressi della scienza, volti al miglioramento delle condizioni di vita delle genti. Si aprono quesiti fondamentali per il mondo della ricerca, per quello della politica e per quello delle religioni. Ma anche per ognuno di noi che dovrà nel suo intimo esprimere delle opinioni su temi che mai avevamo affrontato prima.
Se l’Italia e gli italiani vorranno far parte di quanti nel mondo stanno cercando nuove soluzioni e se vorremo restare agganciati al mondo della ricerca e dello sviluppo, dovranno avere un sistema tollerante che non sia regolato dal conformismo religioso, politico o economico, ma che sia aperto alle sperimentazioni, nell’ambito e con la collaborazione dei centri della ricerca mondiale, ciò che ci tutela da rischi di eccessi e ci evita l’esclusione dal progresso. Se invece prevarranno il timore per il futuro e la paura di chi vede nel progresso la perdita delle sue posizioni dominanti, allora il paese accumulerà ritardi e gli italiani dovranno riprendere la strada dell’estero per restare agganciati alla modernità.
Il sole 24 Ore 07.08.09
Pubblicato il 9 Agosto 2009
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