Tutti i tasselli stanno andando al loro posto e persino sull’Italicum il lavoro è ormai avanzatissimo, tanto da far ipotizzare a Renzi di vederlo approvato a palazzo Madama entro la pausa estiva.
Ma intanto la riforma costituzionale. «L’accordo è vicino», conferma Giovanni Toti a denti stretti. Il nuovo Senato della Repubblica, disegnato dagli emendamenti messi a punto dai relatori Finocchiaro e Calderoli, recupera molte funzioni, pur perdendo quella fondamentale di poter dare o togliere la fiducia al governo. Insomma, non è più un «dopolavoro per sindaci», per dirla con Berlusconi. Ha competenza sulla legislazione regionale e su quella europea, co-elegge il presidente della Repubblica, il Csm e i giudici costituzionali, ma soprattutto recupera voce sulle leggi elettorali e su quelle costituzionali. Crescendo le funzioni, cambia anche la composizione. Renzi ha dovuto rinunciare al suo Senato dei sindaci. I primi cittadini saranno invece pochi, circondati da una stragrande maggioranza di consiglieri regionali- senatori. Il premier ha trattato partendo da 1/3 di sindaci e 2/3 di consiglieri regionali, ma alla fine Forza Italia è riuscita a strappare la quota simbolica di un sindaco per ogni regione (non sarà automaticamente il primo cittadino del capoluogo di regione, a Roma andrà invece un sindaco eletto dai suoi colleghi). Il cocktail finale è dunque più vicino a 1/4 di sindaci – una ventina – e 3/4 di rappresentanti regionali, un mix che rassicura il centrodestra, preoccupato di un’eccessiva
rappresentanza del Pd nella Camera alta.
Comunque nella notte si tratta ancora. Sono tornati ad esempio i senatori di nomina presidenziale scelti nella società civile, anche se non quanti ne avrebbe voluti il capo del governo. «Siamo all’ultimo, delicatissimo, miglio», si lascia sfuggire a tarda sera Debora Serracchiani. Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli, e dopo averci lavorato così a lungo anche a palazzo Chigi qualche timore resta. «Sono abbastanza ottimista — ha detto Renzi ai suoi — ma con quelli là è sempre un’incognita ». Certo, la conferenza stampa di Berlusconi ha confermato il premier nella sensazione di avercela fatta davvero. Che il leader di Forza Italia abbia presentato le sue proposte sul presidenzialismo non è stato considerato un ostacolo. A colpire di più è stata l’affermazione, ripetuta da Berlusconi, che l’accettazione del presidenzialismo non era «assolutamente» una conditio sine qua non per chiudere l’accordo sul Senato e sul
Titolo V. Quanto al merito della proposta forzista, Renzi per il momento non ritiene di poterla accogliere: «Ora bisogna completare il percorso su cui c’è accordo. Per cui aprire la questione del presidenzialismo è inopportuno e intempestivo. Siamo a un passo dalla chiusura, inutile infilarci in un dibattito sul presidenzialismo ». Più avanti si vedrà, non ci sono pregiudiziali.
Se l’intesa c’è perché dunque non annunciarla subito? In realtà l’incontro di oggi tra Paolo Romani e Maria Elena Boschi
— oltre ai ripetuti contatti di Denis Verdini con palazzo Chigi — servirà a stabilire con precisione come dovranno essere scelti i futuri senatori. Il problema su cui si stanno scervellando gli sherpa in sostanza è questo: visto che ogni regione ha una legge elettorale con un premio di maggioranza che schiaccia le minoranze, come garantire che le opposizioni siano rappresentate adeguatamente nel futuro Senato? La soluzione, suggerita da Roberto Calderoli, sta nel «voto limitato». Ovvero i consiglieri regionali avranno una scheda con un numero di opzioni inferiore al numero dei senatori da mandare a Roma. In questo modo, giocoforza, anche le opposizioni potranno avere i loro rappresentanti ponderati sul voto reale preso in regione.
Al di là dei tecnicismi, quello che conta è che Renzi è convinto di aver strappato l’intesa solo dopo aver mostrato i muscoli. Non solo il sorprendente risultato elettorale, ma anche «la determinazione che abbiamo avuto con i casi Mauro e Mineo» hanno fatto la differenza. Da ultimo, per blindare l’accordo, Renzi ha voluto chiamare a sé tutto il Pd. È successo la sera di martedì, quando a palazzo Chigi il premier ha siglato quello che, scherzando, definisce «un patto di sangue dentro il partito». Assicurate le retrovie, è potuto andare avanti. tenendo per sé la regia della trattativa finale.
«Con Calderoli abbiamo fatto un gran lavoro — racconta la presidente Anna Finocchiaro — e siamo pronti a presentare i nostri emendamenti. Abbiamo registrato l’apprezzamento di tutti. Ora aspettiamo che Renzi sciolga gli ultimi nodi politici e poi li depositiamo in commissione». L’intenzione del premier è arrivare all’approvazione del pacchetto più presto che mai. «A questo punto prendere o lasciare, o mangiano questa minestra o si buttano dalla finestra… ». Per palazzo Chigi il nuovo traguardo è arrivare al voto finale in commissione entro il 2 luglio, ovvero prima che Renzi si presenti a Bruxelles avviare il semestre italiano di presidenza. «Andare lì con la riforma approvata — ha spiegato il premier durante il vertice con i dem — per me cambia molto. Quando vado in Europa a dire che abbiamo cancellato le province e che supereremo il bicameralismo, rimangono tutti a bocca aperta. Questa partita in casa ci consentirà di vincere anche la partita in Europa».
Del pacchetto fa parte anche l’Italicum, che il capo del governo vorrebbe vedere approvato dal Senato «entro la pausa estiva ». L’intesa anche su questo sarebbe molto avanti, con alcune significative correzioni: soglie di sbarramento portate al 4% sia per chi si coalizza che per chi resta fuori; soglia alzata al 40% per aggiudicarsi il premio di maggioranza. Ma la vera novità sarebbe il superamento delle liste bloccate con l’introduzione delle preferenze o dei collegi. Su questo però si tratta ancora.
La Repubblica 19.06.14