Il M5Stelle come la Gallia di Giulio Cesare: divisa in partes tres: il suo elettorato, la sua embrionale classe dirigente di militanti locali e di eletti, e la sua leadership. Tutte e tre queste parti hanno caratteristiche, visioni e strategie contrastanti. Ed ora, con la scelta europea, le differenze vengono in superficie.
Fin qui Beppe Grillo e il suo movimento hanno veleggiato sull’onda del successo, senza troppi sforzi: la strada è stata spianata dagli errori, dalle inconcludenze e dalle malefatte degli altri partiti. Oggi il quadro è cambiato. Se torniamo all’origine dell’avanzata grillina, alle regionali del 2010, allora il M5S pescava nell’insoddisfazione di un elettorato di sinistra che non ne poteva più di un partito anchilosato, velleitario e incapace di mettere all’angolo un avversario screditato come Silvio Berlusconi. Non per nulla gli iniziali successi elettorali del M5S si sono registrati in Emilia Romagna, terra rossa per eccellenza, tra persone con alto livello di istruzione, attente alla politica e spesso coinvolte in prima persona in associazioni e movimenti. In questa fase iniziale i meet up( anglicismo un po’
snobistico per indicare gruppo organizzato) e gli iscritti, hanno una chiara connotazione ecologista-alternativa, dove la critica alla partitocrazia e alla classe politica si declina soprattutto in critica alla sinistra per le sue deficienze. Della destra non ci si cura nemmeno perché è considerata “altra”. Questo stadio fondativo si riflette tuttora nelle attività dei meetup (1.450 in 1.167 città, con 172.134 iscritti e 61.710 simpatizzanti) che continuano a lavorare sulle questione ambientali e sulla partecipazione di base. Da questo humus originano gli attivisti e gli eletti che rappresentano quindi il lato di sinistra dei 5Stelle.
Ma ad essi ora si affiancano gli elettori, che hanno tratti diversi. Mentre fino al 2013 erano pochissimi, e quindi irrilevanti, e comunque avevano caratteristiche omologhe agli attivisti, l’incremento alle politiche dell’anno scorso ha fatto affluire anche elettori di destra: costoro hanno trovato nei 5Stelle un nuovo e più potente canale di espressione del loro malcontento anti-sistemico. Mentre in precedenza il populismo forzaleghista sollecitava in maniera più o meno latente l’animus antipolitico di questa fascia di elettori — basti ricordare le tirate di Bossi contro “quelli di Roma” o espressioni berlusconiane come “il teatrino della politica” — la crisi della destra e il montare della polemica anti-partitica a 360 gradi di Grillo li ha indirizzati verso i 5Stelle. E, come evidenziano tutte le ricerche, oggi nell’elettorato grillino le provenienze di destra e di sinistra si equivalgono quasi. Quindi la prima contraddizione latente riguarda un elettorato — che è suddiviso anch’esso in partes tres tra destra, sinistra e non identificati — e una classe dirigente prevalentemente orientata a sinistra e socializzata in ambienti e su tematiche dell’ecologismo e della partecipazione. Questa divaricazione non è ancora emersa perché è tenuta sottotraccia dalla preponderanza della leadership la quale riassume su di sé, superandole, tutte le contraddizioni. O, almeno così è stato fin qui. Vale a dire fintantoché Grillo poteva non decidere, e rimanere sul filo dell’ambiguità e della alterità a tutto e a tutti. Le elezioni europee hanno posto fine a questa comoda rendita di posizione e hanno obbligato per la prima volta ad operare delle scelte “politiche”. Stare a destra con Nigel Farage o a sinistra con i Verdi? In realtà, nel referendum tra gli iscritti pentastellati essi dovevano scegliere solo tra l’euroscettico Farage o i conservatori britannici di Cameron (ma come è anglofilo Grillo!….), mentre l’opzione di sinistra dei Verdi è stata esclusa in partenza. Questa decisione sposta l’asse del Movimento verso destra e lo pone in connessione diretta con l’elettorato più protestatario e anti- sistemico di origine forzaleghista. Uno spostamento che lascia però “scoperta” la componente dei quadri e di molti degli eletti più orientati a sinistra. La divaricazione tra le parti costituenti del triangolo pentastellato non può che portare a tensioni interne, ma forse anche all’inizio di un vero dibattito politico all’interno di quel partito. Oppure può indirizzarsi verso la capitalizzazione del suo ruolo di oppositore al governo e alle larghe intese per guidare un inedito fronte “di destra” alternativo al nuovo pivot della politica italiana, il partito democratico.
da La Repubblica