«Se nel Pd c’è chi ruba, costui deve andare a casa a calci nel sedere, non c’è Pd che tenga». Il presidente del Consiglio Matteo Renzi conferma la linea dura del partito – e del governo – nei confronti dei responsabili dei due grandi scandali che hanno investito ancora una volta le grandi opere italiane, Expo e Mose. Tangenti e corruzione che stavolta non risparmiano nessuno, dai politici, ai finanzieri, ai magistrati. «Sono molto colpito dalla vicenda veneziana – dice il premier ospite de La Repubblica delle idee a Napoli, al teatro San Carlo -. Nel caso di Venezia è ancora peggio perché il fatto riguarda anche magistrati e finanzieri, cioè non solo i ladri ma anche le guardie».
Ma di fronte all’indignazione generale – e agli attacchi di Grillo – da Palazzo Chigi non si annunciano effetti speciali, misure «emotive», né estemporanee, perché stavolta la risposta «deve essere strutturale e culturale», facendo innanzitutto pulizia di tutte quelle autorithy nate per controllare e rimaste a occhi chiusi durante tutti questi anni in cui il sistema tangentizio legato a Expo o al Mose si è fagocitato soldi senza freni. Intanto venerdì Palazzo Chigi «varerà un provvedimento ad hoc che recuperi lo spirito delle raccomandazioni della Commissione europea», un provvedi- mento anti corruzione con norme che incideranno sia sulla vigilanza sia sulle procedure, mentre nella riforma della giustizia, dice il premier, deve essere chiaro il principio della certezza della pena, «chi ha violato la legge non deve poter mettere piede in un ufficio pubblico se non per fare un certificato. Questa è la rivoluzione di cui abbiamo bisogno». Che sia Daspo, o alto tradimento, poco cambia, il principio deve essere quello di una interdizione perpetua. Il capo del governo sa che dopo quel 40,8% incassato dal Pd alle europee, «un voto che chiede speranza, cambia- mento», i segnali al Paese devono esse- re oggi ancora più forti e non a caso, ripete, «è arrivato il momento di cambiare pagina e su questo mi gioco la credibilità. Sono convinto che l’Italia per- bene, che è decisamente maggioranza, sia pronta a dire basta». Per questo da- re più poteri a Raffaele Cantone ha un senso se le misure intervengono su più fronti, perché «non esiste la nocciolina di super Pippa che trasforma Cantone in un super pm», ma «bisogna permette- re a Cantone il controllo anche di altre authority».
Non è lui a tracciare la linea tra il vecchio Pd, quello della ditta, e il nuovo Pd, (il confine lo tracciano i suoi, da Luca Lotti a Debora Serracchiani). La linea che disegna è tra chi ruba e chi è onesto, questo è il discrimine, ma è chiaro che «chi vuole negare responsabilità dei politici e della politica da questa sto- ria è fuori dalla storia». La differenza è nel fatto, spiega, che il suo partito, «che ha senz’altro dentro di sé dei politici che commettono reati», è lo stesso che poi vota per farli arrestare, come è accaduto con il caso Genovese.
LE RIFORME
Parla anche delle riforme, della necessità di non arretrare di un millimetro, perché quel consenso ricevuto rischia di diventare «volatile», e si mostra fiducioso del fatto che entro l’estate ci sia il via libera per l’Italicum e l’ok sulla prima lettura della riforma costituzionale. «Berlusconi ha tutto l’interesse a resta- re nel Patto», e finora «non ha chiesto di posticipare la riforma elettorale, non ho parlato con lui dopo le elezioni e fa- rò sapere quando lo farò», dice rispondendo alle tante domande dei lettori.
Non manca l’affondo a Beppe Grillo, «è insopportabile la posizione dei Cinque Stelle che vanno a discutere con gli xenofobi a Londra e non vuole parlare con noi in Italia», né la battuta sui pre- sunti brogli denunciati dal comico genovese, «sono stanco, a furia di fotocopiare le schede».
Sul destino della legislatura ribadisce quanto detto subito dopo il voto, l’orizzonte rimane quello del 2018, perché «se i rappresentanti in Parlamento sanno leggere la politica devono avere consapevolezza che è finito il tempo del- la palude», e se il governo rimane in pie- di non è per «occupare poltrone». «Sia- mo in grado di farlo? Credo di sì. Secondo me si va alla fine della legislatura, dopo di che io posso andare a casa do- mani mattina. Non ho una preoccupazione personale ma di non tradire la speranza». Torna sull’antica polemica che tormentò il suo partito, «ci sarà sempre qualcuno che mi riterrà il Papa straniero, ma mentre loro faranno convegni noi cambieremo l’Italia e metteremo la residenza in questo 40% che è il luogo naturale della sinistra italiana», dando risposte concrete. Questa è la partita personale di Renzi: portare a casa le riforme annunciate.
L’EUROPA
Chiamato a rispondere dalla linea che l’Italia terrà in Europa in vista delle nuove nomine, Renzi mette paletti: «Junker cambi la politica europea o non avrà il nostro consenso». Vale a dire: il Ppe dica con chiarezza cosa intende fare nei prossimi cinque anni, quali politiche adottare. Solo da questo di- penderà il consenso dell’Italia al nuovo presidente della Commissione Ue: o cambia rotta e si lascia alle spalle l’austerità e il rigore che hanno piegato i Paesi dell’area Ue o l’Italia non darà il suo appoggio. L’Italia sta preparando un documento sulle cose da fare e ha tutta l’intenzione di farsi ascoltare a Bruxelles, dove il Pd è approdato come il partito più votato, con un premier fortissimo. Più forte di Angela Merkel.
L’Unità 08.06.14