È appena un varco. Nel decreto cultura varato dal Consiglio dei ministri, che è in attesa degli ultimi passaggi formali, spunta una norma che consente a musei, biblioteche, archivi di assumere a tempo determinato giovani laureati in storia dell’arte e in altre discipline. E ciò in deroga ai limiti imposti alle amministrazioni diverse dai beni culturali. Niente più che uno spiraglio di luce, occorre aspettare per capire quanto grande, in strutture che però già impiegano tanti precari, dove il personale è scarsissimo e quello che c’è supera, in media, i 55 anni. È comunque una misura che il ministro Dario Franceschini inserisce in quelle che vorrebbe riportassero la cultura al centro di una politica assolutamente distratta. «Quando ha governato il centrodestra, lo slogan era “con la cultura non si mangia”, ma anche il centrosinistra ha responsabilità. Io ho voluto occuparmi di questo ministero perché credo che i beni culturali siano ossigeno per le menti, l’anima e anche per l’economia».
Di nuovo l’analogia con il petrolio?
«Ho detto ossigeno. Il petrolio è una risorsa che si consuma».
Ma da dove parte per invertire la rotta?
«Intanto abbiamo rotto la barriera pubblico-privato. Il credito d’imposta al 65 per cento per chi elargisce donazioni è rivoluzionario. Il modello è quello avviato a Ercolano con la fondazione di David Packard. Ma l’intervento privato non sostituisce quello pubblico».
Tagliare ancora sarebbe esiziale.
«Nel decreto reintroduciamo l’obbligo di destinare ai beni culturali il 3 per cento dei fondi per le infrastrutture. Affideremo 3 milioni ai comuni che organizzano iniziative culturali in periferia: se le fanno nel centro storico se le pagheranno da loro. E poi strumenti ai sindaci per allontanare le bancarelle dai siti monumentali. Non è solo un problema di risorse».
E dunque?
«Con la ministra Giannini reintrodurremo la storia dell’arte dov’era stata soppressa e la incrementeremo dov’era stata ridotta. Inviteremo le scuole ad adottare ognuna un monumento. Sosterremo l’insegnamento della musica e l’educazione alla lettura».
Allontanerebbe dalla lettura?
«A quella mia battuta molti hanno replicato indicando le trasmissioni che parlano di libri. Ma queste si rivolgono a chi legge già. Io vorrei che la tv contribuisse a far amare la lettura al grande pubblico che non legge».
Pompei. Lei ha attribuito maggiori poteri al generale Giovanni Nistri. Non teme che, a prescindere da Nistri, apprezzato da tutti, si riprecipiti nella stagione dei commissari, infausta per quel sito?
«A Pompei ho lavorato sulla struttura che ho trovato, il soprintendente e il direttore generale. Ho solo varato misure per accelerare le procedure e per assicurare a Nistri una propria struttura ».
Un commissario, però, è spuntato alla Reggia di Caserta.
«Ha un incarico di sei mesi e de- ve solo fare in modo che la Reggia, occupata per oltre il settanta per cento da uffici impropri come l’Aeronautica militare e altri ancora, sia restituita integralmente alle sue funzioni».
Il decreto prevede Grandi progetti nazionali. Vi concentrerete sulle eccellenze. Non si rischia di snaturare la caratteristica primaria del nostro patrimonio, quella di essere distribuito come la trama di un tessuto su tutto il territorio?
«Impiegare 5 milioni nel 2014, 30 nel 2015 e 50 nel 2016 per singole strutture non significa trascurare il patrimonio diffuso. Per me un sito archeologico che fa tremila visitatori l’anno, dal punto di vista scientifico e della tutela, non è inferiore a quello che ne fa 500 mila. Ma, tornando alla Reggia di Caserta, devo pur progettare un uso degli spazi che si libereranno: questo potrebbe essere uno dei Grandi progetti».
Grandi progetti, grandi musei. In questi ultimi lei vuole i manager. I direttori, i soprintendenti non sono adatti alla promozione culturale?
«Ma perché ci si irrita tanto se, accanto a chi esercita la tutela, c’è qualcuno che si occupa di marketing? Direttori e soprintendenti non avranno ridotte le loro funzioni. È che non sono formati per quelle attività che producono risorse utilizzabili solo per migliorare la tutela».
Ammetterà che le soprintendenze sono oggetto di vituperi. Il presidente del Consiglio ha spesso accenti sprezzanti.
«Le soprintendenze svolgono un compito fissato dall’articolo 9 della Costituzione. Ma come in tutti gli uffici, anche lì ci sono funzionari ottimi e funzionari inefficienti. Non essendoci organi d’appello alle loro decisioni, credo che l’eccessiva discrezionalità sia un problema».
Vuole indirizzarle a un maggior rigore o ad allentare i controlli?
«I controlli non vanno allentati. Ma non sono obbligatoriamente d’ostacolo all’innovazione».
La Repubblica 29.05.14