Nella storia dell’umanità alcune epoche sono state particolarmente segnate dal passaggio di un innovatore – profeta, poeta, scienziato, politico – il cui nome, preceduto da un avverbio, prima e dopo, definisce l’epoca nella quale è vissuto: prima e dopo Cristo, prima di Giotto, dopo Colombo, prima di Galilei. Fino ai nostri contemporanei, che sono più vicini a noi, ma spesso restano lontani nella memoria.
Il flm Quando c’era Berlinguer – bello per la commozione che suscita e per la discrezione che lo distingue – si apre con una domanda che il regista pone a una decina di studenti scelti in varie città italiane: «Chi era Berlinguer?».
Nella storia dell’umanità alcune epoche sono state particolarmente segnate dal passaggio di un innovatore – profeta, poeta, scienziato, politico – il cui nome, preceduto da un avverbio, prima e dopo, definisce l’epoca nella quale è vissuto: prima e dopo Cristo, prima di Giotto, dopo Colombo, prima di Galilei. Fino ai nostri contemporanei, che sono più vicini a noi, ma spesso restano lontani nella memoria.
Il flm Quando c’era Berlinguer – bello per la commozione che suscita e per la discrezione che lo distingue – si apre con una domanda che il regista pone a una decina di studenti scelti in varie città italiane: «Chi era Berlinguer?».
Il nome sicuramente evoca qualcosa nell’inconscio di quei ragazzi, poco o nulla nella loro conoscenza: era uno scrittore, un uomo politico coreano, uno di destra, uno dell’antimafia… ma la maggior parte si rifugia nella parti- cella nazionale del «boh». Walter Veltroni, il regista, non li sollecita più di tanto, lascia al suo film il compito di parlare dell’eurocomunismo, dello strappo dall’Unione Sovietica, della questione morale come centro dell’intera concezione politica.
Il film mostra anche i milioni di comunisti e di non comunisti che piansero la morte di Berlinguer come la morte di un fratello. E torna in mente quell’oceano di giovani – della stessa età di quelli intervistati oggi da Veltroni – che quel giorno, io e tanti altri registi, interrogammo da via Botteghe Oscure a piazza San Giovanni: tra le migliaia di volti in lacrime ricordo quello di una ragazza che singhiozzando mi disse: «Enrico era uno preciso».
Ecco, la precisione. Quella ragazza piangeva perché sentiva che nel mondo appannato e vago che la aspettava, veniva a mancarle un riferimento preciso, netto e raro.
In quale inceneritore, in quale discarica, in quale mercatino dell’usato finiscono i nostri ideali dismessi, i nostri pensieri smarriti?
Quando Orlando perde la ragione per Angelica, Ludovico Ariosto immagina che tutto ciò che l’uomo va perdendo sulla Terra finisca sulla Luna. In attesa che qualche poeta più recente, o uno scienziato più attrezzato, lo scopra e ce lo comunichi, potremmo provvedere personalmente ad apparecchiare una piccola luna di cose buone perdute, da consegnare alla ge- nerazione che si trova più sguarnita di altre ad affrontare il futuro.
Ma anche questo andrebbe fatto con precisione.
L’Unità 28.05.14