«Quella conseguita da Matteo Renzi è una doppia, straordinaria, vittoria: perché è una vittoria italiana e al tempo stesso perché è una vittoria europea, in quanto aumenta fortemente il peso obiettivo dell’Italia in Europa e il suo peso negoziale nel vertice europeo». A sostenerlo è Jean-Paul Fitoussi, Professore emerito all’Institut d’Etudes Politiques di Parigi e alla Luiss di Roma. È attualmente direttore di ricerca all’Observatoire Francais del Conjonctures Economiques, istitu- to di ricerca economica e previsione, autore di numerosi saggi, tra i quali l’ultimo è «Il teorema del lampione. O come mettere fine alla sofferenza sociale» (Einaudi, 2013). Quanto al successo, sia pur diversificato da Paese a Paese, del variegato fronte antieuropeista, Fitoussi annota: «I partiti antieuropeisti hanno intercettato il malessere della gente che dice no all’Europa dei sacrifici. Questo non significa, però, che la gente dice all’Europa. Vorrebbe vedere una Europa con un “viso più gradevole”».
Professor Fitoussi, quale Europa emerge dal voto?
«Un’Europa un po’ malata, ammaccata da sciagurate politiche iper liberi- ste che non solo hanno frenato la crescita ma hanno incrementato le diseguaglianze sociali. Il problema è che quando si fanno delle politiche sbagliate, la gente finisce per non credere più alla politica “normale”. La gente si è accorta, reagendo, che il voto può cambiare il governo ma il governo spesso non cambia la politica. E allora ci si chiede “a che serve cambiare governo se non si cambia politica…”. La gente, sempre di più, non è più motivata a dare il proprio sostegno a partiti di governo e quindi si indirizza verso qualsiasi partito o movimento che abbia un programma radicale, anche se non ci crede fino in fondo. La gente è per definizione “delusa” e lo è spesso a ragion veduta. Non è un atteggia- mento psicologico, questa delusione nasce da una sofferenza materiale, perché milioni di persone fanno fatica ad avere un’occupazione e un reddito».
E così rivolge il suo malessere contro l’Europa.
«Questo malessere va capito e non demonizzato. Va invece orientato verso nuove politiche che rompano final- mente con il fallimentare ciclo neoconservatore. Siamo ancora all’interno di una fase dove l’Europa continua ad essere ostaggio di trattati e di vincoli che invece di costruire un futuro di crescita hanno riportato l’Europa indietro nel tempo. Quei vincoli hanno contribuito in misura notevole a riportare il tasso di disoccupazione a quello degli anni Trenta, e ovunque siamo in una fase di diminuzione sostanziale del reddito. Con il voto di protesta, la gente ha detto no all’Europa dei sacrifici, ma questo non significa che il suo è un no all’Europa tout court. La gente vorrebbe vedere una Europa con un “viso più gradevole”. Il che significa agire sulla leva degli investimenti, strumento essenziale per dare un futuro alle giovani generazioni e rilanciare la crescita. Un passaggio ineludibile per raggiungere questo obiettivo è modifica- re profondamente il Patto fiscale». Per motivi di lavoro e impegni accade- mici, lei è spesso in Italia. Come si spiega il clamoroso successo del Pd di Matteo Renzi?
«Una lettura minimalista farebbe dire che Renzi è presidente del Consiglio da pochi mesi e dunque non ha avuto ancora il tempo di deludere la gente. Ma i suoi meriti sono ben altri. Renzi ha fatto una mossa poco comune in Europa: quella di favorire la gente con reddito basso. Ottanta euro al mese, significano mille euro all’anno e di questi tempi non è davvero poca cosa. Renzi ha dato un po’ di speranza alla gente. E lo ha fatto dando concretezza alle parole. Qualcosa sta cambiando, hanno pensato molti italiani, dopo tanti anni di restrizioni. E poi Renzi ha dato prova di un dinamismo che lo porta ad agire. Ha un programma chiaro e agisce per realizzarlo. Questo ha dato speranza e la speranza ha dato corpo ad una vittoria storica. In chiave interna e per il peso che l’Italia in Europa».
Dal trionfo di Renzi al tracollo di Hollan- de. Come spiegarlo?
«Perché Hollande non è stato all’altezza di quella speranza di cambiamento che lo aveva spinto all’Eliseo. La gente aveva puntato sui di lui perché sperava in un cambiamento politico e di avere politiche a sostegno di quelli che aveva- no più sofferto la crisi. Invece non è stato così. La politica di Hollande è stata quasi identica a quella di Sarkozy, e per certi versi addirittura più restrittiva, facendo pagare gli effetti della crisi a tutti i francesi, soprattutto alle classi più deboli e al ceto medio. E lo ha fatto disorientando l’opinione pubblica, che è stata raggiunta da messaggi ambigui, non capendo come un leader che si definisce di sinistra avesse potuto condurre politiche che di sinistra avevano poco o nulla. Il risultato è sconsolante. In poco temo, il Partito socialista ha preso due batoste elettorali mortificanti: prima alle amministrative, ed ora alle europee. Facendo vergognare la Francia agli occhi del mondo: uno dei Paesi fondatori dell’Europa ha come primo partito il Fronte Nazionale!».
Il voto seppellisce l’asse franco-tedesco?
«Non direi. Questo voto va spiegato con un’altra chiave di lettura. La Germania è in una situazione di crescita normale, mentre la Francia è in una situazione di stagnazione da almeno 5 anni. Se la Germania fosse in una situazione simile a quella francese, il risultato dei partiti oggi al governo, Cdu e Spd, non sarebbero stati così buoni. In Germania i partiti di governo hanno fatto il loro mestiere, cosa che non è avvenuta in Francia».
L’ondata antieuropeista…
«È stata quella che ci si aspettava. Spero almeno che sia servita da lezione ai vertici europei e alla Germania. Se non cambiano politica, allora sarebbero responsabili di una distruzione dell’Europa. Se non cambiano verso, le prossime elezioni europee saranno molto peggiori».
L’Unità 27.05.14