L’unico ordine al quale è possibile ricondurre la politica italiana è quello alfabetico. Siccome le grandi ideologie sono morte, le tradizioni politiche scomparse, gli scenari geo-politici assenti, in questa squinternata campagna per le europee, meglio, molto meglio procedere secondo l’aureo principio con cui si compilano elenchi, albi, registri.
Astensione. È data in aumento. Di molto. L’Istituto Cattaneo ha ipotizzato cifre mai raggiunte finora nel nostro Paese. La base di legittimazione delle istituzioni europee sarà probabilmente molto più ristretta che nel passato. Certo, ci sono quelli che dicono che nei Paesi democraticamente maturi una fascia larga di astensionismo è del tutto fisiologica. Ma il voto di oggi rischia di esprimere ben altro: disaffezione e sfiducia, o forse addirittura una forma di defezione dalla politica come l’abbiamo finora conosciuta.
Berlinguer. Ormai lo tirano in ballo tutti. E non solo per via del trentennale della morte. C’entra sicuramente la nostalgia, ma anche una buona dose di spregiudicatezza. Il Berlinguer che finisce nei comizi di Grillo, come in qualche disinvolta pagina di giornale, non ha quasi più nulla del dirigente comunista: è soltanto una brava persona. La questione morale suggella così definitivamente l’incapacità di porre questioni politiche. E persino un Casaleggio può intestarsi un pezzo di quella edulco- rata eredità: non era meglio quando con Berlusconi il comunismo funzionava almeno da spauracchio?
Capilista. Renzi l’ha pensata giusta: tutte donne capilista nelle cinque circoscrizioni europee. Se e quando la polvere della campagna elettorale si poserà, bisognerà riconoscere che è stato un passo deciso verso il pieno riconoscimento della presenza femminile nella società e nella politica italiana. In attesa che venga il tempo in cui non farà più notizia.
Dentiere. Le promesse di Berlusconi, dal nuovo miracolo italiano degli esordi fino alla malinconica dentiera del 2014. Dal milione di posti di lavoro soprattutto per i giovani alle protesi dentarie soprattutto per i vecchi. Sono passati vent’anni dalla famosa discesa in campo del ’94, e si
vede. Dopodiché sotto la lettera «D» ci andava benissimo anche il cagnolino Dudù, balzato agli onori delle cronache anche per prendere il voto degli animalisti. Ma la voce in questo elenco non sarebbe riuscita meno patetica.
Expo. E qui sono dolori. Tanto più che sarebbe quasi doveroso proseguire con la «F» di Frigerio e la «G» di Greganti. Difficile dire quanto pesino sul voto simili vicende, che infanga- no la politica e producono l’impressione che nulla cambi, che nulla serva, che in fondo sono sempre gli stessi e si fanno gli affari loro. Scegliendo Cantone, Renzi ha reagito subito, e bene, e un discrimine è stato tracciato: Grillo butterebbe tutto a mare, il governo prova faticosamente a distingue- re, a separare il grano dal loglio. Ma non c’è dubbio che sempre più la credibilità di un’intera classe dirigente si gioca su vicende come questa.
Firenze. Con Renzi il Pd è tornato finalmente in piazza. Non c’è stata solo la piazza San Giovanni di Grillo, come lo scorso anno, e la mossa abbastanza suicida di lasciare campo libero ai Cinque Stelle; ci sono stati i tanti comizi e piazze piene in giro per il Paese: a Napoli, nell’Emilia, in Piemonte, per finire a piazza della Signoria, nella città del premier. Ed è stato finalmente uno spettacolo bello, colorato, emozionante.
Genny ’a Carogna. Grillo le cavalca tutte. Ogni occasione è buona per gettare discredito e lucrare sulle difficoltà del Paese. Così quando si è trattato di spiegare che lo Stato ormai non c’è più, Grillo ha usato l’immagine della trattativa svoltasi sulla pista dell’Olimpico fra le forze dell’ordine e il capo ultrà. Quando poi si è trattato di lisciare il pelo ai napoletani feriti nell’onore non ci ha pensato due volte e Genny è passato rapidamente dall’infamia alla lode.
Hitler. Siamo di sicuro l’unico Paese al mondo dove un leader politico può mettere insieme nei suoi discorsi un capo comunista come Berlinguer e Adolf Hitler. E dichiararsi peggiore di quest’ultimo, sia pure per paradosso, per spirito di provocazione, per una boutade o per qualunque altro motivo. Il sospetto che anche il discorso pubblico debba correre dentro qualche argine e non tracimare dappertutto non sembra più nutrirlo nessuno. Chissà cosa scriverà il prossimo che proverà a stendere un discorso sopra i costumi degli italiani.
Insulti. Anzi lo sappiamo: scriverà che di costumatezza politica non ce n’è più, e che dal Vaffa Day in poi persino il Senatùr può essere considerato un campione di bon ton. Per non scompari- re del tutto dalla scena, Berlusconi ci ha messo del suo: Grillo è un assassino, ha detto. E ha aggiunto: si faceva pagare in nero. E mai come questa volta ci si è ricordati del bue che dice cornuto l’asino (vedi alla voce «Sacra Famiglia»).
Lisbona. Prendiamoci una pausa, in questo lungo elenco di piccoli orrori. Queste sono elezioni europee. E le elezioni europee sono regolate dal Trattato di Lisbona. Ormai tutti se lo dimenticano, a caccia del significato politico del voto e delle ripercussioni sulla scena politica nazionale. Salvo poi ricordarsene quando ci si scopre lontani dall’Europa, e in balìa di decisioni prese altrove.
Merkel. Prese per esempio da Angela Merkel, al suo terzo mandato di Cancelliera. Il suo volto è sempre più il volto dell’Europa. Lo sanno i greci, lo sanno gli spagnoli, lo sanno anche italiani e francesi (a proposito: Hollande? Non pervenuto). Lo sanno per lo più a loro spese, non riuscendo ad imporre cambiamenti nelle politiche di austerity fortissimamente volute dalla Merkel. Nella campagna elettorale quasi tutti han detto che ci vuole un’altra Europa, ma come si faccia a convincere chi comanda a Berlino nessuno lo sa.
No-euro Tour. Per questo la Lega ha sposato senz’altro la bandiera della lotta contro la moneta unica, risollevandosi dal baratro in cui era sprofondata. Con sparate di dubbio gusto, come la piazzata sotto l’abitazione di Prodi, a Bologna, Prodi «co-responsabile di morti e feriti». Intanto, i sentimenti antieuropei crescono e si coalizzano contro la moneta. Grillo non la dice chiara nemmeno su questa, mentre il Pd e tutta la maggioranza resta convintamente a difesa dell’euro. Quanto a Berlusconi, ha chiesto scu- sa per le offese alla Merkel («unfuckable ass», in traduzione inglese) ma non si è fatto mancare una gaffe tremenda, affermando che per i tedeschi i lager non sarebbero mai esistiti. Prendere le misure al Cavaliere in campagna elettorale è una faccenda complicata assai.
Ottanta. Come i giorni dell’ancor breve durata del governo Renzi, e gli euro messi nelle buste paga di maggio. Propaganda o no, Renzi ha cercato di dare una prova tangibile dell’impegno finora profuso, e l’ha chiamato giustizia sociale. Un primo segnale, un’inversione di tendenza. Per tutti gli altri si è invece tratta solo di una mancia, le coperture non ci sono, le tasse aumentano, è un provvedimento una tantum. Vedremo.
Paola Bacchiddu. La foto postata dalla responsabile comunicazione della lista Tsipras, con il lato B in evidenza, ha fatto parlare di sé. Di sé più che della lista, ma tant’è: il duello Renzi-Grillo ha finito con l’oscurare ogni altra proposta politica, e in campagna elettorale a provocazione ci può stare. Resta però il dato di una lista costruita intorno a una serie di testimonial prestigiosi, che non riesce a farsi largo nel consenso popolare. Se dovesse andar male, c’è da temere che ne verrà fuori l’ennesimo dibattito sul ruolo degli intellettuali in politica, e su una tendenza all’ottimato democratico che suona come una contraddizione non piccola.
Quorum. È il problema di tutti gli altri: della lista Tsipras, ma anche di Scelta Europea del fu Monti della nuova Lega antieuropeista di Salvini, della rinata destra di Fratelli d’Italia, a guida Meloni, e del Nuovo Centrodestra di Alfano. Quest’ultimo risultato può essere decisivo: non dovesse arrivare al 4%, un contraccolpo sul governo ci potrebbe essere. In ogni caso, sarà ancor più evi- dente che a destra il dopo Berlusconi fatica maledettamente a nascere.
Riforme. Renzi ha detto: ricominciamo lunedì, riprendiamo il filo delle riforme istituzionali, rimettiamo in cammino la riforma del lavoro, e insomma riapriamo i dossier accantonati nel vivo della campagna elettorale. È il terre- no più difficile per il governo. Renzi ci ha messo la faccia, ma è difficile fare previsioni.
Sacra Famiglia. Non quella di Betlemme, ma quella di Cesano Boscone, dove ha sede la Fondazione che ospita i venerdì di Silvio Berlusconi. Detta così, somiglia ai mercoledì di Pericoli e Pirella, o al lunedì del Processo di Biscardi, e invece si tratta della condanna definitiva inflitta per frode fiscale all’ex-Cavaliere. E un giorno si potrà raccontare ai nipotini di quella volta in cui la campagna elettorale la fece, seriamente, uno che passava i venerdì ai servizi sociali.
Tribunale del popolo. Ovvero: i processi popolari di Beppe Grillo. Su un refrain che un tempo intonava un altro comico, della compagna di Arbore. Quello che ripeteva sempre: «in galera!». Poi Grillo dice che è cattivo, ma senza violenza, che si tratta solo di uno sputo mediatico, che la sua è una rabbia sana, e va bene. Ma l’immaginario che evoca di sicuro sano non è.
Unione Europea. Seconda e ultima pausa di riflessione in questo elenco. Siamo cittadini europei, siamo membri dell’Unione, e votiamo per questo. Per la prima volta, anche se il processo di revisione costituzionale si è interrotto, un’innovazione profonda è in corso. Eleggiamo i nostri parlamentari, e indichiamo insieme il nostro candidato alla presidenza della Commissione (per i socialisti e democratici europei, il tedesco Martin Schultz). Che se poi si riuscisse a ripartire con il metodo comunitario e a ridurre il ricorso al metodo intergovernativo dell’accordo fra capi di Stato e primi ministri, l’Europa prenderebbe senz’altro un aspetto più democratico e meno arcigno.
Vespa. Eh, sì, un vincitore c’è già, ed è Bruno Vespa. La sua intervista a Grillo ha fatto il pieno, e lui è ancora lì che si frega le mani. Il web sta cambiando la politica italiana, ma per il momento la televisione può risultare ancora decisiva. Anche Renzi e Berlusconi hanno peraltro cercato di occupare lo schermo il più possibile. Anche Floris, Mentana e tutti gli altri si sono presi i loro spazi, ma il più formidabile è stato il colpo messo a segno da Vespa.
Zzz. Eh, no. Questa brutta campagna elettorale non ha avuto affatto toni soporiferi. Può darsi sia un merito. Il fatto è che per tenerci svegli si usa un clima sempre più sovraeccitato. Lo diceva già Benjamin all’inizio del secolo scorso: l’esperienza si impoverisce, e perché qualcosa arrivi ci vogliono sempre nuovi choc. Sulle prime magari funziona; alla lunga, però, stanca. In ogni caso, la notizia è che, finalmente, è finita.
L’Unità 25.05.14