Che cosa può dare il voto ad un elettore che non scambi l’urna per il luogo in cui appagare i suoi ultimi desideri? Consente di scegliere tra le diverse opzioni che offre in concreto lo stato politico di un paese, bello o brutto che sia. In Italia è quello che è. Ma, proprio per le gravi difficoltà in cui versa il paese, il voto è importante.
Uno può buttare via il suo voto in quattro diversi modi: standosene a casa (il che equivale a dire: “andate tutti al diavolo!”) oppure consegnando scheda bianca (il che, se non si è organicamente indifferenti, equivale a dire: “vorrei fare il mio dovere di cittadino, ma fate tutti egualmente schifo”) oppure dando un voto di punizione (il che equivale a dire: “vorrei votare per te in base alle mie inclinazioni di fondo, ma non lo faccio perché desidero darti una lezione e quindi scelgo un altro anche se non mi piace”) oppure do la mia preferenza ad un partito incapace di influire sui rapporti di forza per dare quanto meno una testimonianza ideale. Questo atteggiamento ha fatto breccia tra molti di coloro che in passato, nonostante tutti i maldipancia possibili, si ascrivevano alla sinistra, fornendo così prova di dare ancora importanza a distinzioni che ora sembrano non più riconoscere.
Nella loro diversità di motivazioni i quattro modi sopra indicati convergono in un unico esito: contribuire all’indebolimento se non alla sconfitta della forza politica che pure dovrebbe rappresentare anche ai custodi del meglio ideale il meno peggio reale. Poiché nella realtà dei rapporti politici e sociali esiste sempre il meno peggio. Chi non vuol vederlo e accettarlo si pone al di fuori dei comportamenti orientati a criteri di razionalità. Aspira a rendere più sana, più alta la politica e, spinto dalle proprie delusioni, contribuisce a farla affondare del tutto. Invoca una più nobile responsabilità negli altri mentre ignora la propria che è di non lasciare libero campo alle forze che se non altro il buon senso dovrebbe indicare come le peggiori anche nello scenario che è indotto ad avversare nel suo insieme. Non percepire il valore del relativo significa in politica, appunto, porsi contro la razionalità.
Passando dal discorso generale ai fatti con cui l’elettore si troverà a fare i conti, chi non andrà a votare, chi deporrà scheda bianca, chi voterà con intenti punitivi e chi lo farà per testimoniare scegliendo l’inefficacia si orienterà in base ad un comune orientamento: quello secondo cui Berlusconi, Alfano, Renzi pari sono, mentre a Grillo, se non lo si fa rientrare nella stessa compagnia, si attribuisce il ruolo di vendicatore dei peccati altrui. Orbene, concediamo una certa venia ai tanti che, comprensibilmente imbufaliti dagli spettacoli indecenti offerti dalla mala politica, si lasciano trascinare dal sentimento a perdere il senso delle differenze che vi sono tra un partito e l’altro, e quindi il senso del relativo; ma non possiamo concederla ai non pochi illustri intellettuali di sinistra che fanno sfoggio di accanimento — guarda caso — soprattutto nei confronti di Matteo Renzi. Li abbiamo sentiti dire, contenti della prova offerta di allegra e compiaciuta intelligenza, che Renzi è l’alter ego di Berlusconi, una minaccia per la democrazia, un populista, che questi due insieme con Grillo rispecchiano la stessa Italia. Non entro nel merito di tali giudizi. Li si lasci a chi li pronuncia. Fatto è che, comunque la pensino, essi non possono eludere l’interrogativo che ha posto Scalfari e a cui si deve rispondere: ritengono che un grave insuccesso del Pd non faccia differenza? Sono indifferenti alle conseguenze che avrebbe l’eventuale sorpasso da parte di Grillo?
È un vecchio, intramontabile vizio della “sinistra pura” l’amore per le dichiarazioni di principio, per l’etica della convinzione, per l’imperativo categorico che non transige e induce a avversare in primo luogo la sinistra impura. Più la sinistra ne è stata danneggiata e più questo vizio si riproduce come un fungo dalle belle apparenze e dagli effetti velenosi. Sì, siamo costretti a scegliere tra Berlusconi, Alfano, Renzi e Grillo. Tutti uguali? Dopo il 25 giugno avremo i risultati elettorali. Ebbene, questo nostro paese che si trova nella tenaglia in cui lo stringono le difficoltà non avrà lo stesso destino se vincerà l’uno o l’altro. Chiunque lo dovrebbe capire. La ragione può sopportare molte violenze, ma di queste violenze non abusino in primo luogo intellettuali dottissimi ed espertissimi di politica antica e moderna.
La Repubblica 21.05.14