Più di 47mila posti di lavoro creati in Italia grazie ai fondi europei. E poi 3.700 nuove imprese; banda larga estesa a più di 940mila persone; sostegno per 26mila Pmi. Il bilancio della Commissione europea sull’efficacia della politica di coesione nel periodo 2007-2013 è ancora provvisorio. Non solo perché si ferma al 2012 ma anche perché molte regioni sono ancora indietro nella realizzazione dei progetti cofinanziati dalla Ue. All’attivo ci sono anche 1.500 chilometri di ferrovie, costruite o ricostruite, e progetti di depurazione delle acque reflue per un milione di persone.
Queste cifre si riferiscono solo agli interventi del Fesr (Fondo per lo sviluppo regionale) che rappresenta circa la metà delle risorse europee disponibili, considerando anche il Fondo sociale (Fse) e il Fondo per l’agricoltura e le aree rurali (Feasr). Servono a dare concretezza alla politica di coesione dell’Unione e ai fondi europei, troppo spesso associati nell’immaginario collettivo all’idea di spreco e malagestione.
Non che non ci siano – purtroppo – episodi di truffa o corruzione, ma come sempre un albero che cade fa più rumore di un bosco che cresce. E al bosco bisogna guardare per cercare di capire non solo il senso delle politiche europee di coesione, ma anche come sfruttarle per la crescita e l’occupazione. Perciò il confronto con gli altri Stati membri, che ancora una volta vede l’Italia nelle posizioni di coda, va vissuto non come uno smacco ma come l’occasione per capire cosa possono fare regioni e ministeri per spendere meglio e più velocemente le risorse europee.
Per esempio guardando alla Germania, che con risorse inferiori a quelle destinate all’Italia è riuscita a creare 88mila posti di lavoro e ha sostenuto la nascita di 6.500 nuove imprese e 5.900 progetti nelle energie rinnovabili. O alla Spagna che, è vero, aveva più risorse dell’Italia, ma sembra anche averle spese molto meglio, sia in termini di nuova occupazione (58mila) che di supporto alle Pmi (43mila) o, ancora più significativo, a sostegno di 30mila progetti di ricerca. L’elenco potrebbe continuare, per esempio con il Regno Unito che, con un terzo dei fondi rispetto all’Italia, ha creato 87mila posti di lavoro. Dettaglio non secondario, il Regno Unito, come la Germania, ha speso le risorse del Fse dopo aver definito una strategia che andava al di là dei corsi di formazione (“il corsificio”, come lo chiamano a Bruxelles) e puntava ad obiettivi ben individuati.
Salvo improbabili grosse modifiche imposte dalla Commissione all’Accordo di partenariato che è sotto esame, da qui al 2020 le regioni dovranno gestire direttamente più di 30 miliardi di euro (il dettaglio nella tabella a fianco), senza contare il cofinanziamento. Più di 1.000 euro procapite, neonati compresi, in diverse regioni del Sud. E sempre che non si applichi davvero la clausola che impone di tagliare la dote alle regioni che si sono dimostrate meno efficienti, ampliando ulteriormente i programmi nazionali.
Il Sole 24 Ore 19.05.14