Più che elezioni europee sembra il secondo tempo delle politiche dello scorso anno. Perfino il confronto sulle percentuali di voto non si è fatto e non si farà con il 2009, ma con il 2013, come se davvero questo voto fosse l’omologo di quello di un anno fa. Eppure i sondaggisti spiegano che non sono dati comparabili perché «quando va a votare almeno un 15% di cittadini in meno, come accade alle europee, è tutta un’altra partita», spiega Roberto Weber di Ixè. È vero che nel 2009 non c’era Grillo e non c’era la versione renziana del Pd (Berlusconi c’era), ma questo voto si gioca su un equivoco pienamente “riuscito”: e cioè che le europee possano cambiare il destino della legislatura e del Governo. È un equivoco su cui ha giocato per primo Beppe Grillo annunciando la «marcia su Roma» più che su Bruxelles, riuscendo così a centrare l’obiettivo di puntare contro Matteo Renzi e non contro le politiche europee. Un gioco a cui il premier non ha potuto sottrarsi perché una legittimazione democratica è quella che gli manca e il 25 maggio sarà il primo “tu per tu” con i cittadini. Ma sarà anche la prima volta che un leader di sinistra rompe dei tabù e si avventura nel campo avverso alla ricerca di voti moderati. Lo dice il politologo Mauro Calise che Renzi «è il primo populista di sinistra» così come Piergiorgio Corbetta dell’Istituto Cattaneo qualifica la campagna elettorale del premier come un misto di «politica e anti-politica». Una miscela che apre varchi perfino in terra di centro-destra usando delle parole chiave come Cgil o Rai, su cui nessun leader di sinistra si era finora esposto. Invece Renzi ci prova e riesce a dire che «chi vota per me non vota per la Cgil» e che alla Tv pubblica «toccherà fare sacrifici come tutti». Due totem usati proprio per richiamare quei voti in uscita dal recinto dell’ex Pdl. Ed è così ambito quel bottino che anche Grillo sembra un Berlusconi “al quadrato” e non solo quando parla di «marcia su Roma», ma anche quando attacca con più decisione quei “target” che erano dell’ex Cavaliere: dalla Merkel a Schulz, da Auschwitz a Lenin fino a sentirsi «oltre Hitler». Simboli tutti novecenteschi per uno che smanetta con i ragazzi del web, ma che sono il segno di come stia sfidando Berlusconi per il suo stesso elettorato. A lui, all’ex premier, non resta che buttarsi sul complotto del 2011 cercando, così, la sua via per una rilegittimazione politica. Dunque combatte da posizioni più arretrate in un inseguimento a cui non era abituato: rincorre Grillo sulla marcia su Roma, rincorre Renzi offrendo – invece che gli 80 euro di bonus fiscale – un aumento delle pensioni minime. Nel 2009 Matteo Renzi combatteva la sua prima sfida vera, quella di sindaco di Firenze. Il Pd aveva da poco perso il suo primo leader, Walter Veltroni e dal 33,4% del 2008 era finito al 26,1%. Era invece in salute il Pdl che 5 anni fa arrivò al 35% e fu perfino un risultato deludente visto che i sondaggi lo davano quasi al 40 per cento. Insomma, almeno un paragone con il 2009 si può fare ed è su quel 15% (circa) di voti in meno per l’ex Cavaliere. Proprio quelli su cui oggi si sfidano Grillo e Renzi.
Il Sole 24 Ore 18.05.14