La Camera ha appena votato la fiducia sul decreto lavoro e, probabilmente, il governo porrà la fiducia oggi di nuovo la questione di fiducia sul decreto per l’emergenza casa. Il decreto-legge è ormai la modalità ordinaria per legiferare e il voto di fiducia è la procedura standard per superare gli ostacoli parlamentari e assicurare così la conversione entro i 60 giorni previsti dalla Costituzione. La prassi viene da lontano, oggi però siamo davanti a una regola assoluta. Totalitaria. E non si può negare che rappresenti uno stravolgimento dei principia cui si era ispirato il costituente.
A ben guardare, qualcosa è cambiato in questa legislatura: la fiducia viene posta prevalentemente alla Camera (il decreto Poletti è stato finora la sola eccezione), dove la maggioranza è più solida. E qualcosa è cambiato pure dopo la recente sentenza della Consulta, che ha vietato i decreti omnibus, contenenti al loro interno le materie più svariate: il governo Renzi ha risposto al divieto sfornando decreti-legge più corti e sicuramente più omogenei (salvo il decreto sulla finanza locale). Comunque, da quando il nuovo esecutivo è in carica, le Camere non hanno approvato altro che leggi di conversione dei decreti.
I leggeri correttivi, insomma, tendono a perfezionare la procedura, a stabilizzarla. Anche i mostruosi maxi-emendamenti di un tempo sono stati di molto ridimensionati, dopo i ripetuti e molto severi intervenuti del presidente della Repubblica. Mail problema non è stilare la classifica dei governi che, nella stortura, si sono comportati meglio. Il problema è come raddrizzare la stortura. I decreti non possono diventare la sola via legislativa praticabile. Il Parlamento verrebbe ucciso e la qualità delle leggi, come si è visto in questi anni, peggiorerebbe ancor di più. Al tempo stesso, però, non sarebbe una risposta accettabile per il Paese un indebolimento dei poteri di indirizzo del governo. Per ricondurre i decreti ai soli casi eccezionali di necessità e di urgenza, bisogna consentire al governo di percorrere la strada principale della legislazione, quella voluta dalla Costituzione ma oggi ostruita da vari fattori, regolamentari e politici.
Nel progetto di riforma del Senato si introduce il voto a data certa sui disegni di legge che il governo considera più importanti. E’ un buon punto di partenza. Che va sviluppato con una riforma dei regolamenti parlamentari, soprattutto della Camera. La presidente Laura Boldrini ha già messo al lavoro la giunta per il regolamento e, a quel che si sa, l’impostazione è promettente. Il governo deve poter disporre di una corsia preferenziale per ottenere il voto finale su alcuni disegni di legge entro 30 giorni dalla presentazione. Non solo. Occorre spostare in commissione il grosso del lavoro sugli emendamenti, selezionando le votazioni in aula e riducendole alle questioni più qualificanti. Non può essere l’ostruzionismo, o comunque il potere di ritardare le decisioni, l’arma più forte a disposizione del Parlamento.
Abbiamo bisogno di una democrazia decidente. E di rafforzare il contenuto democratico delle decisioni. Non è vero che da noi il governo non ha poteri. Dobbiamo evitare che questo potere si fondi su torsioni del sistema. Perché si può rafforzare il governo, rafforzando al tempo stesso il Parlamento. Ad esempio, se in un bimestre il governo porta in votazione tre sue leggi con procedura accelerata, si può riconoscere alle opposizioni il diritto di sottoporre al voto almeno una loro proposta. Con analoghe garanzie e procedure. E così le leggi di iniziativa popolare, finora le grandi dimenticate nel nostro sistema, devono essere portare al giudizio dell’assemblea entro un termine stabilito. Per rafforzare il Parlamento bisogna soprattutto far funzionare i contrappesi (e ovviamente il primo dei contrappesi è recuperare il legame degli eletti con il territorio e i cittadini: basta liste bloccate!).
Ce la faremo a costruire una democrazia più matura e decidente? Le riforme non sono il vezzo di qualcuno. Sono ciò che manca da tempo. Anche perché in assenza di riforme pensate, abbiamo avuto strappi e mutamenti di fatto. Il punto è se vogliamo ricostruire un sistema parlamentare razionalizzato, aggiornando i principi dei costituenti, oppure se vogliamo fuggire altrove, inseguendo populismi e demagogie. In Europa i sistemi flessibili sono quelli che stanno dando le prove migliori. Speriamo di restare su questa strada. Ma ce n’è un’altra: quella del presidenzialismo e di una maggiore rigidità del sistema. L’illusione è che l’uomo forte basti a rendere più forti le istituzioni. E’ un’illusione che può aprire la porta alle avventure.
Comunque, per difendere i valori della nostra Costituzione bisogna avere il coraggio di cambiare. Nella paralisi attuale Berlusconi può aumentare i suoi ricatti e Grillo può continuare a giocare allo sfascio, facendo leva sull’ostruzionismo ad oltranza. Un governo più forte in un Parlamento più forte, comunque, sarà possibile solo se i partiti e i gruppi parlamentari torneranno ad essere sintesi di politica e di interessi sociali: proprio la loro crisi è una delle cause del deterioramento istituzionale. Non ci sarà mai un Parlamento più forte, qualunque regolamento si adotti, se i deputati saranno ridotti alla corte di un capo e se si continuerà ad ascoltare la sirena della democrazia senza partiti.
L’Unità 15.05.14