Nell’aria fredda e tesa della camera operatoria, intorno al corpo ferito dell’Expo, i medici hanno constatato che il battito cardiaco non si è spento e che il respiro persiste. La politica nazionale, le imprese e la magistratura non si sono tolte il camice né hanno annunciato il decesso del paziente. Il premier Renzi, con la sua visione del mondo basata sulla prevalenza del futuro e del nuovo su tutto e su tutti, sa (o intuisce) che l’Expo è una occasione per ripensare l’identità e la specializzazione produttiva del Paese: dal fordismo classico a un profilo più terziarizzato. Un profilo fatto di turismo e servizi alla persona, stili di vita e un’economia manifatturiera sempre di trasformazione, ma nella versione più soft dell’agroalimentare. Francesco Greco, figura storica della magistratura milanese impegnata contro i reati economici, ha dato il suo “placet” alla scelta di Raffaele Cantone all’Autorità anticorruzione: «Va bene l’incarico a Cantone. L’importante è che ci sia una sinergia con la Procura. Ma questo è nei fatti, perché noi lo conosciamo bene e lo stimiamo». Il presidente di Confindustria Squinzi ha ricordato che «l’Expo 2015 è il primo grande evento che possa dare qualcosa dopo la crisi sanguinosa di questi anni». Dunque, nella complessa meccanica dei poteri italiani, sembrano esserci una coerenza interna e un funzionamento non distonico di un ingranaggio rispetto all’altro. Se l’Expo – in mesi che assomiglieranno a un misto fra un percorso di guerra e una lungodegenza ospedaliera – dovesse subire una ricaduta, verrebbe meno il suo effetto potenziale sull’economia del Paese.
Nel cupio dissolvi e nel desiderio di gogna che oggi pervadono molti italiani, l’Expo è nella migliore delle ipotesi una baracconata senza senso, nella peggiore il presupposto logico per rubare. Nel giorno in cui la casella operativa del direttore generale per le costruzioni – lasciata vuota dall’arrestato Angelo Paris – viene riempita da Marco Rettighieri, a costoro andrebbero fatti leggere due documenti. Il primo è la ricerca della Sda-Bocconi che stima in 15,8 miliardi di euro la produzione aggiuntiva generata dall’Expo entro il 2020. Una stima che è sottoposta all’ipotesi (confermata peraltro ieri dall’amministratore delegato Giuseppe Sala) che i visitatori possano essere 20 milioni. Questo, nonostante i gravi ritardi dell’Expo abbiano portato alla realizzazione della metà delle infrastrutture previste. Il secondo documento da sottoporre «a quelli che la manifestazione non serve a niente-sono tutti ladri-chissenefrega dell’Expo», è uno studio della Banca d’Italia. Che, come nel film “Aprile” di Nanni Moretti, «non c’entra, ma c’entra». Il paper di Matteo Bugamelli, Riccardo Cristadoro e Giordano Zevi, intitolato “La crisi internazionale e il sistema produttivo italiano”, mostra l’eccezionalità della crisi iniziata nel 2008 rispetto a quelle del 1974 (shock petrolifero) e del 1992 (squilibri monetari internazionali). Nel 1974 servirono sei trimestri al Pil e undici trimestri alla produzione industriale per tornare al livello ante crisi; nel 1992, ne furono rispettivamente necessari nove e otto; ora siamo abbondantemente sopra i venti trimestri. E la luce non si intravede. Fate voi. L’economia di un Paese si sviluppa o a prato basso, nell’autonomia creativa delle imprese, o per effetti indotti dall’alto, concentrando risorse ed energie. Come nel caso dell’Expo. Piccolo esercizio di ottimismo: il paziente Expo si ristabilisce. Sedici miliardi di euro di produzione aggiuntiva vi sembran pochi?
Il Sole 24 Ore 14.04.14