L’Europa ci ricorda che l’Italia soffre di guai annosi, scarsissima dinamica di crescita, alto debito pubblico. Nelle analisi uscite ieri da Bruxelles è vano cercare giudizi pro o contro l’ultimo mese di attività del nostro governo, come vorrebbe la nostra politica. Vi si legge invece un richiamo alla realtà, utile anche in altri Paesi dell’Unione.
A meno di tre settimane dal voto per il Parlamento di Strasburgo, gli stessi mercati finanziari che nel 2011-12 hanno spinto l’euro sull’orlo della rottura ora paiono sicuri che la costruzione reggerà. Anche il Portogallo si svincola dall’assistenza, d’ora in poi non dovrà più obbedire alla «troika». Perfino la Grecia tira il fiato, tanto che i sondaggi elettorali mostrano un calo delle estreme.
I tassi di interesse nel Sud dell’area euro scendono, esponendo a una nuova figuraccia le ormai screditatissime agenzie di «rating».
Secondo loro, il debito italiano resta oggi meno affidabile di quello della Colombia o del Kazakhstan; il debito spagnolo, che gli investitori si contendono accettando di ricavarne meno del 3%, è addirittura classificato un gradino più in giù.
Non a caso, nel procedere della campagna elettorale le forze anti-euro stanno perdendo un po’ dell’abbrivio datogli da due anni di austerità. Tuttavia, dei mercati finanziari non bisogna fidarsi nemmeno quando portano doni, perché si tratta di mandrie inquiete, prima tutti in una direzione, poi tutti nell’altra, non si sa fino a quando. Il Fmi già ammonisce contro eccessi di ottimismo.
Possiamo dire che l’euro è fuori pericolo; i profeti di catastrofe sono stati smentiti. Ma il futuro del continente resta molto incerto, non solo a causa delle tensioni con la Russia. Nel confermare che una ripresa economica è partita, e che investe anche i Paesi deboli, le previsioni pubblicate ieri dalla Commissione europea ne circoscrivono la portata rispetto alle speranze di diversi governi.
Nel quadro tracciato, il ritmo di aumento dei prezzi dovrebbe restare basso molto a lungo. Questo non giova a chi vuole intraprendere nuovi affari. Le previsioni di Bruxelles sull’inflazione si collocano al di sotto di quelle della Bce; rafforzano chi chiede a Mario Draghi di fare di più, mettendo moneta in circolo.
Da parte sua l’Italia vi trova la conferma di soffrire di mali indipendenti dall’euro, e preesistenti. Da oltre 15 anni la nostra economia mostra scarsa vitalità; il debito pubblico per la gran parte ce lo trasciniamo dagli Anni 80, e proprio in vani tentativi di rilanciare la crescita attraverso la spesa pubblica eravamo tornati ad appesantirlo nei primi anni del nuovo secolo.
I segni di miglioramento che vediamo attorno a noi, testimoniati dalla maggiore fiducia sia tra le famiglie, sia tra le imprese, sono appena sufficienti a iniziare una lenta risalita. Passato lo spettacolo elettorale, la politica dovrà produrre risultati significativi prima delle ferie, o gli umori torneranno a peggiorare.
La legge di stabilità 2015 richiederà sforzi ingenti; al momento i numeri non ci sono proprio. Inutile discettare ora su quanto si potrà ottenere negli oscuri spazi di interpretazione che le regole di bilancio europee consentono. Convinceremo gli interlocutori solo se davvero si comincerà a cambiare qualche pezzo di una macchina dello Stato che non funziona.
Il paradosso dell’Italia in questo momento è che quasi tutti proclamano «non se ne può più», eppure molti nel concreto fanno resistenza a ogni cambiamento che li riguardi. Il successo di Beppe Grillo si deve all’abilità di cogliere entrambi gli aspetti; il limite che ne consegue, di non proporre quasi mai nulla, diventerà evidente solo se chi governa realizza.
La Stampa 06.05.14