Nel giorno della Liberazione, è arrivato anche l’annuncio di una “liberazione” dell’economia italiana dalle catene del deficit e della recessione? L’annuncio di una delle tre grandi agenzie di rating – la Fitch – di un passaggio delle prospettive del debito pubblico italiano da negativo a stabile è senz’altro una buona notizia. I giudizi delle agenzie sui debiti sovrani sono da prendere sul serio, dato che sono esenti dal “peccato originale” del loro modus operandi: nessuno le paga per i giudizi sui Paesi, mentre sono invece pagate dalle emittenti stesse dei titoli per le obbligazioni private, creando un chiaro conflitto di interessi.
Il giudizio della Fitch, ampiamente motivato ed equamente assortito di fattori positivi e negativi, conferma le luci e le ombre che erano andate stagliandosi negli ultimi mesi. Il miglioramento dello spread e il tasso medio sul debito italiano ai minimi storici non sono banali conseguenze dell’abbondanza di liquidità nella finanza internazionale. Sono stati meritati attraverso una politica di bilancio che ha portato i fondamentali della finanza pubblica italiana in una situazione migliore di quella francese o spagnola. E, se la serie storica del debito pubblico fosse riformulata in modo da attribuire al passato quei debiti verso i fornitori per spese di investimento che oggi lo appesantiscono con i pagamenti in ritardo, e se ne fossero esclusi i versamenti per i salvataggi di altri Paesi (come vorrebbe il buon senso), anche la traiettoria del rapporto debito/Pil non sarebbe così negativa.
È vero: per certi aspetti le misure recenti configurano una scommessa. Il ricorso (pienamente giustificato) alle “circostanze eccezionali” per giustificare un ritardo nella corsa al pareggio strutturale del bilancio, così come le incerte coperture dei famosi 80 euro, sono una scommessa. Con uno slalom “alla Tomba” fra i paletti europei e un’ardente dose di ottimismo si spera che le misure e gli obiettivi del Def saranno validati a posteriori da una crescita superiore alle attese. È giustificata questa speranza?
I fattori di dubbio non mancano. La situazione politica, malgrado il vento di novità che soffia dal Governo Renzi, rimane instabile, anche se bisogna fare uno sconto elettorale a molte fibrillazioni. Soprattutto, l’economia reale “eppur si muove”, ma il moto appare ancora fragile. E il positivo giudizio di Fitch sul sistema pensionistico italiano (“è sostenibile”) maschera la dicotomia che accomuna lavoratori ed ex-lavoratori: sia gli uni che gli altri sono divisi fra protetti e precari nel primo caso, e, nel secondo caso, fra quanti hanno ottenuto pensioni vicino all’ultimo stipendio e quanti – i giovani di oggi – si ritroveranno con pensioni molto meno vantaggiose rispetto ai loro padri.
Ma oltre a fattori di dubbio ci sono fattori di speranza. L’alone da ultima spiaggia che circonda il nuovo Governo rende più difficile ipotizzare crisi clamorose ed esiziali. E l’atmosfera in Europa sta cambiando riguardo alle politiche di austerità: malgrado i toni severi, la bancarotta intellettuale di quelle politiche ha lasciato il segno, ed è poco probabile che la Commissione frapponga ostacoli a un Paese che cerca di sollevarsi “tirando sulle stringhe delle scarpe”.
Ferve da noi la contabilità della manovra: riduzioni di imposta finanziate da riduzione di spesa, si dice, possono essere recessive invece di dare uno stimolo (il moltiplicatore della spesa è superiore al moltiplicatore dell’entrata). Il che è tecnicamente vero, ma la temperie presente della nostra economia mal si presta a questi calcoli. Dopo una lunga prostrazione che ha rigettato il reddito reale pro-capite al livello di fine secolo scorso, tutto ormai si gioca su variabili diverse dalla contabilità degli stimoli. Quel che conta è la fiducia, la propensione al consumo non è una costante, la propensione a investire è scalpellata dagli “spiriti animali”, l’umore del Paese può cambiare rapidamente. Qui sta la cerniera della nostra vicenda congiunturale. Mai come in questo momento la Politica (con la P maiuscola) può e deve fare molto per cambiare l’umore del Paese. Mai come in questo momento le forze politiche si devono chiedere, prima di tutto, cosa è bene per l’Italia. Mai come in questo momento un Paese in bilico fra ripresa e ricaduta ha bisogno di quel “Buongoverno” che attende da decenni.
da Il sole 24 Ore