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"L’Europa in crisi perché l’austerità uccide", di Fabio Sdogati

Sono passati ormai cinque anni da quell’infausto 2009, quando sull’Europa cominciò a spirare il vento fetido della cosiddetta “austerità”. Parola assai ben scelta per identificare un progetto politico-economico che avrebbe imposto ai popoli d’Europa una recessione mai vista prima dalla fine della seconda guerra mondiale.
Una parola che rassicurava e rassicura, perché «essere austeri» suona bene, perché non c’è neanche bisogno di dirlo, l’austerità è implicitamente, ovviamente una virtù. Ce lo hanno spiegato in tanti che essa effettivamente lo è, virtuosa, che pro- duce risultati buoni. Ad esempio, in una intervista televisiva del 26 settembre 2011 il Professor Monti ci spiegava che «chi mai si sarebbe immaginato che la Grecia, costretta ad accettare la cultura della stabilità…». Stava sprofondando in una recessione spaventosa, completiamo noi! E poi, il 29 aprile 2013 il Professor Padoan mise in evidenza, anche lui in una intervista, come «il dolore stesse producendo risultati».

Il dolore produce risultati!? Bene ha fatto Barbara Spinelli a ricordarci, il 25 febbraio scorso, di questa fede di Padoan nelle virtù curatrici del dolore. E bene ha fatto a portare alla nostra attenzione i risultati della politica dell’austerità in versione greca, riportando i risultati di una ricerca apparsa sulla rivista scientifica Lancet sul deterioramento progressivo della sanità in Grecia, delle condizioni di vita, del tasso di suicidio, delle morti per overdose, ecc. Chiediamoci: ricordiamo da dove venne questa ideologia devastante? Si disse, e si ripete tutt’oggi nonostante i risultati prodotti siano disastrosi, che occorresse ridurre i deficit «eccessivi» dei governi europei. Ma questa era una fede nuova e tutta europea, non è vero? Fino all’anno pre- cedente il mondo adottava politiche opposte per contrastare la crisi: nel novembre 2008 il G20 acclamava la scelta del governo cinese di adottare una politica fiscale espansiva finanziata in disavanzo (cioè un aumento del debito o, il che è la stessa cosa, un deficit corrente) di 576 miliardi di dollari Usa. E nel febbraio 2009, non appena il paese si era dotato di un presidente nel pieno dei suoi poteri, il congresso degli Stati uniti approvava un deficit per 787 miliardi di dollari, composto di sgravi fiscali e maggiori spese. E ancora nel dicembre 2010 il congresso approvava un deficit per 858 miliardi di dollari, composto ancora di minori entrate e minori spe- se. A fine 2010. Negli Stati uniti. E in quel- lo stesso anno il signor Trichet, presidente della Banca centrale europea, dichiara- va in un’altra intervista del 16 giugno che lui riteneva che «l’idea secondo cui le mi- sure di austerità possano produrre stagnazione è sbagliata».

Che cosa aveva indotto il signor Trichet ad esporsi con tali dichiarazioni, facendo previsioni che si sono rivelate (ovviamente) sbagliate? Occorre tener presente che, nonostante siano i soli ad aver l’orecchio dei governi europei, gli economisti austeri non sono soli al mondo. Ce ne sono molti al mondo che sono in favore della crescita, e quei molti mettevano in guardia allora, e mettono in guardia oggi, contro le politiche recessive volute dai governi europei consigliati dai chierici austeri. Questi economisti sapevano che la buona teoria economica vuole che le riduzioni di deficit, ed eventualmente di debito, vengano effettuate in periodi di crescita economica e non durante una recessione, poiché togliere ad un’economia in recessione lo stimolo della spesa pubblica vuol dire condannarla a morte: vuol dire produrre disoccupazione al 13% e in crescita, vuol dire che nel 2013 il servizio sanitario inglese ha ammesso all’uso del servizio 44.000 giovani italiani che hanno lasciato il nostro paese per trasferirsi in quello, vuol dire indurre in Italia una contrazione del reddito pro-capite di oltre l’8% tra il 2007 e il 2013, vuol dire far aumentare il rapporto debito/pil e non farlo diminuire, come gli austeri promettevano sarebbe avvenuto, vuol dire far cadere la domanda di beni e servizi al punto tale che la crescita dei prezzi prima rallenta, poi si ferma e poi, situazione pericolosissima, si inverte di segno quando i prezzi stessi cominciano a cadere: i piani di spesa a que- sto punto verranno rivisti da famiglie e imprese, e le spese verranno posposte in attesa di prezzi più bassi, il che fa cadere la domanda e, con essa, i prezzi. E sappiamo che oggi quattro paesi aderenti all’Ue so- no già in deflazione e la media dell’inflazione in area euro, così come quella in area Ue, è paurosamente vicina allo zero.

Tutto questo hanno prodotto i governi europei e i chierici dell’austerità. E ripetiamo con forza che le politiche di austerità sono sbagliate perché esse sono fondate su una pessima teoria economica, che le cosiddette spending review altro non fanno che aggravare la crisi. Da questa crisi, e dalla stagnazione secolare che alcuni grandi economisti cominciano a temere potrebbe essere di fronte a noi, possiamo uscire aumentando la spesa, finanziando- ne l’aumento con un parallelo sgravio fiscale sui redditi e sui patrimoni minori e un aumentato carico fiscale sui redditi e, in particolare, sui patrimoni, maggiori. Certo, in un paese in cui si ritiene che chi possiede un bilocale possieda un patrimonio, la parola «patrimoniale» spaventa. E chi è spaventato non vota per chi lo spaventa. Ma se il governo ci dicesse quanto vale, complessivamente, l’1% dei patrimoni più grandi? E quanto vale il minore tra questi? Un pochino più di un bilocale, crediamo.

L’Unità 15.04.14