Dopo tanti proclami fatti per lo più per consolidare il consenso in vista delle elezioni europee e qualche depistaggio costruito ad arte, il governo Renzi vara il suo primo Documento di economia e finanza. Un Def che si fonda su ipotesi realistiche (almeno per i primi tre anni), rispetta i vincoli imposti dall’Europa e ci propone (a saldo quasi nullo) un riequilibrio tra le entrate e le uscite con l’obiettivo di rilanciare l’economia. Chi si aspettava fuoco e fiamme può attendere. Rispettiamo il vincolo europeo sul 3% del deficit e ci incamminiamo lungo la strada di rientro dal debito imposto dal fiscal compact. Il confronto con l’Europa è rimandato. A differenza di quanto auspicato in modo un po’ irrealistico da qualche commentatore, non siamo in grado di proporre una manovra espansiva significativa di stampo keynesiano. Dati i vincoli si fa quello che si può nella direzione che ad oggi appare essere l’unica medicina possibile: rilanciare i consumi e gli investimenti con un occhio all’equità. La strada non è facile, vediamo nel dettaglio la proposta del Def e quelli che possono essere gli ostacoli per centrare davvero l’obiettivo.
Il riequilibrio è in tre passi:
1) 6.6 miliardi in detrazioni Irpef per i redditi bassi (gli 80 euro mensili), coperti tramite i tagli individuati dalla spending review (4.5 miliardi) e due una tantum: aumento del gettito dell’Iva per il pagamento dei debiti della pubblica amministrazione e aumento della tassazione delle rivalutazioni delle quote di Banca d’Italia possedute dalle banche.
2) Taglio dell’Irap del 5% (900 milioni) questo anno e del 10% l’anno prossimo finanziato dall’aumento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 26%.
3) Pagamento di 13 miliardi di debiti della pubblica amministrazione.
Il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione dovrebbe portare nell’immediato ad un peggioramento del debito pubblico, ma il resto delle componenti della manovra dovrebbe essere a saldo nullo. Sulla carta il mix si muove nella giusta direzione per rilanciare i consumi e gli investimenti. Il pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione dovrebbe ridare ossigeno alle imprese a corto di liquidità; spostando la tassazione dalle attività produttive alle rendite si dovrebbero invece promuovere gli investi- menti. È invece più complicato capire quello che sarà l’effetto dell’operazione Irpef: l’effetto dovrebbe essere espansivo per la parte coperta da una tantum, l’effetto dello sgravio coperto dai tagli proposti dalla spending review rischia invece di essere più problematico. Se i tagli colpiranno davvero la spesa improduttiva (categoria difficile da definire) l’effetto netto sarà positivo, altrimenti no. Qualche purista osserva che non è detto che gli 80 euro si tradurranno in un aumento dei consumi, visto il calo dei consumi negli ulti- mi tempi c’è da essere ottimisti circa il fatto che questo avverrà. L’effetto netto sarà comunque limitato: 0.2% di crescita del Pil nel triennio 2014-2016.
Una parola deve essere detta anche sull’aumento della tassazione delle rivalutazioni delle quote di Banca d’Italia possedute dalle banche. Occorre capire che colpire le banche non è una cosa positiva di per sé: se queste hanno meno capitale daranno meno prestiti e l’economia ne risentirà. Le banche hanno anche ragione a lamentarsi circa il fatto che si cambiano le regole in corsa. Queste osservazioni perdono però di forza riflettendo sul fatto che reperire un miliardo in più di capitali a livello di sistema non appare ad oggi un’impresa impossibile.
Il Def di fatto si ferma al 2016. Per il 2017-2018 le previsioni appaiono ottimisti- che con una crescita dei consumi e del Pil al 2%. Oltre ad un aumento significativo dei tagli provenienti dalla spending review, agli introiti delle privatizzazioni, si punta sulla riforma del mercato del lavoro e sulle semplificazioni-liberalizzazioni che dovrebbero portare una crescita del Pil dell’1.4% l’anno. Difficile da credere che questo scenario possa realizzarsi. Il mantra delle semplificazioni liberalizzazioni non è nuovo, è stato praticato e ha dato ben pochi frutti, stesso discorso per il lavoro, si introduce una maggiore flessibilità ben sapendo che questa proposta non è nuova ed ha prodotto solo precarietà senza rilanciare l’economia. A differenza di quanto si legge in un dibattito davvero pressappochista, il problema in Italia non è la flessibilità sul mercato del lavoro ma il rilancio della produttività. Un punto che per essere affrontato richiede profonde riforme strutturali.
In definitiva, dati i vincoli presenti ad oggi, il Def fornisce una risposta immediata adeguata, per svoltare aspettiamo le riforme che rilancino davvero l’economia di questo Paese.
L’Unità 10.04.14