La complessità e il cambiamento dell’economia e della società significano che il successo nella vita e nel lavoro è sempre più determinato dalla nostra capacità di adattarci a nuove situazioni, di imparare dagli errori che commettiamo e di trovare nuove vie per affrontare problemi complessi. Sono queste le qualità che i quindicenni di oggi apprendono a scuola? Lo studio Ocse-Pisa del2012ha cercato di rispondere a questa domanda, sottoponendo gli allievi quindicenni di 44 paesi ed economie ad una serie di test volti a misurare le loro capacità nella risoluzione di problemi non scolastici (problem solving). Un ambiente virtuale – creato al computer – è stato usato per simulare situazioni di vita reale, quali un dispositivo elettronico che non funziona oppure un viaggio da pianificare. Lo studio ha permesso di osservare la capacità di misurarsi con problemi la cui soluzione non è immediata. Ai giovani studenti era richiesto di mostrarsi aperti alle novità, di accettare il dubbio e l’incertezza, e talvolta di osare una soluzione sulla base del loro intuito. Ma anche di ragionare in modo deduttivo e di imparare durante il test a navigare una situazione complessa, utilizzando le informazioni disponibili e quelle ottenute in risposta alle proprie azioni. I risultati pubblicati oggi mostrano che gli studenti di Singapore e Corea, seguiti dagli studenti giapponesi, sono i migliori in problem solving. Posti di fronte a un problema complesso, essi imparano presto, si mostrano curiosi e avidi di sapere, e sono in grado di risolverlo anche senza essere guidati verso la soluzione. Anche gli studenti italiani hanno ottenuto buoni risultati. L’Italia è sopra la media Ocse, dietro alla Finlandia ma allo stesso livello di Francia, Germania, Inghilterra e Paesi Bassi per le competenze di problem solving. In Europa, paesi come la Danimarca, la Svezia, la Polonia e la Spagna hanno tutti ottenuto risultati inferiori rispetto all’Italia.
Solo uno su dieci è eccellente nel nostro Paese
Le regioni del Nord Italia, poi, ottengono risultati ancora migliori: in queste regioni i quindicenni mostrano capacità paragonabili ai coetanei di Shanghai e Taiwan, tra i primi dieci nelle classifiche Ocse-Pisa. Il relativo successo dell’Italia, soprattutto se confrontato ai risultati ancora deludenti – ma in miglioramento – nelle competenze di matematica e lettura, è merito in gran parte degli «ultimi della classe». Gli studenti eccellenti capaci di interagire in maniera strategica con problemi complessi sono relativamente pochi in Italia, circa uno su dieci (a Singapore e in Korea più di uno su quattro raggiunge questo livello). Ma gli studenti più deboli in matematica mostrano di sapersela cavare bene quando il problema da risolvere non è l’equazione di secondo grado ma un problema della vita reale, che pure richiede applicazione e ragionamento sistematico per essere risolto (ad esempio comprendere il funzionamento del condizionatore dell’albergo, oppure scegliere il luogo più conveniente per incontrare gli amici). Questo non significa che non bisogna più insegnare le equazioni di secondo grado o la storia a scuola. Al contrario, dimostra che esistono ampi margini di miglioramento nelle competenze di matematica e lettura degli studenti più deboli, a condizione di prestare attenzione a ciò che li motiva e li incuriosisce.
Troppo spesso gli studenti in difficoltà rinunciano a studiare
Troppo spesso gli studenti in difficoltà rinunciano ad apprendere le materie scolastiche perché si sentono poco stimolati da un insegnamento astratto e scollegato dalla loro esperienza quotidiana. I risultati positivi dell’Italia mostrano anche l’importanza di avere un curriculum scolastico vario, in cui a tutti i ragazzi vengono offerte possibilità di coltivare il proprio talento. Si può infatti imparare a ragionare, a osservare e a risolvere i problemi in tutte le materie – dalla storia alla matematica, dalle scienze al disegno e alla musica. Troppo spesso, però, come ammoniva già Seneca, si impara solo ciò che conta per la scuola e non ciò che conta per la vita. I progetti interdisciplinari, legati alla vita reale, possono servire in questo senso: ridare a ragazzi e ragazze l’appetito di imparare. La condizione è che questi progetti siano strutturati come occasioni di apprendimento e che gli insegnanti siano formati a questo scopo. L’ultima rilevazione Ocse-Pisa ci invita a coltivare l’ambizione che nessun talento debba essere sprecato a scuola, e a farci sperare in un futuro migliore. «Porre la mira assai più alta che il loco destinato» – come insegna Machiavelli – ci aiuterà a raggiungere il nostro disegno, e a recuperare fiducia nella scuola italiana.
Il Corriere della Sera 02.04.14