In un suo recente articolo Martin Schulz, candidato per il Pse alla presidenza della Commissione europea, ha fatto alcune affermazioni importanti che vanno oltre la generale ripulsa della politica dell’austerità e centrano il punto chiave della differenza fra destra e sinistra in politica economica. Secondo Schulz la politica macroeconomica dell’Unione ha puntato sull’austerità «senza dall’altra parte creare uno strumento per rilanciare una domanda interna depressa e investimenti al palo» giacchè «l’Unione si è focalizzata quasi totalmente sul lato dell’offerta». La conclusione è che «la creazione di una vera politica economica a livello europeo deve essere uno dei temi centrali della prossima legislatura e di conseguenza uno dei temi centrali delle prossime elezioni europee di maggio».
Come abbiamo detto, è proprio qui che si comprende la differenza fra destra e sinistra in politica economica. Tale differenza non riguarda infatti la necessità di politiche strutturali: riguarda piuttosto il modo di in- tendere le politiche strutturali, la necessità di includere fra di esse la lotta alla corruzione e all’evasione fiscale, il buon funziona- mento dell’amministrazione pubblica e politiche industriali dirette a riorientare l’evoluzione dell’economia reale tenendo conto delle opportunità create dalla rivoluzione tecnologica, dalla globalizzazione e della necessità di una crescita più amica dell’ambiente. E riguarda il fatto che l’approccio dominante ignori che il principale problema strutturale non ha dimensione nazionale ma europea ed è la crescente divergenza di competitività tra i diversi Paesi dell’Unione.
Ma la differenza più evidente riguarda le politiche per il rilancio della domanda interna che, come sostiene Schulz, nell’approccio dell’austerità non sono contemplate, mentre sono necessarie giacché anche il motore più efficiente non funziona senza benzina e la benzina della crescita è la domanda interna (a meno che non si pensi di trasformare l’intera Europa in un enorme succhiatore di ruota che cresce aspirando la domanda di altri continenti). Ma la domanda interna si sostiene con il bilancio pubblico e con l’aumento dei redditi delle famiglie, come sta facendo il governo statunitense con risultati decisamente migliori di quelli dell’Europa.
Cambiare la politica macroeconomica per orientarla alla crescita significa concretamente abbandonare gli obbiettivi del patto di stabilità, il pareggio del bilancio e il tasso di inflazione al di sotto del 2% ed assumere, come ormai si sostiene da molte parti, come unico obbiettivo il tasso di crescita del prodotto lordo, regolando di conseguenza l’andamento del bilancio pubblico e dell’inflazione. È infatti certo che, pur in presenza di un deficit del bilancio pubblico, sarebbe possibile ridurre il rapporto debito/pil se la crescita nominale fosse consistente mentre, in una situazione di scarsa crescita o di deflazione, tale rapporto salirebbe anche in caso di pareggio di bilancio.
Avere una vera politica economica, come propone Schulz, significa coordinare la politica economica dell’Unione con quella dei singoli Stati e coordinare queste fra di loro. Ovviamente, questo non significa che tutti i Paesi debbano avere la stessa politica economica, giacché Paesi in attivo e Paesi in passivo di bilancia dei pagamenti dovrebbero agire con politiche economiche opposte per ridurre i divari di competitività e assicurare a livello europeo un’adeguata crescita della domanda attraverso la leva del bilancio pubblico e una politica dei redditi che ristabilisca nella media europea il rapporto tra la dinamica delle retribuzioni e quella della produttività, puntando soprattutto su una consistente crescita delle retribuzioni nei Paesi in attivo di bilancia dei pagamenti.
Una nuova politica economica non sarà possibile senza una banca centrale davvero in grado di operare con una politica moneta- ria orientata alla crescita e perciò in grado di finanziare a costo zero investimenti attraverso il bilancio pubblico o le imprese, come hanno fatto le banche centrali statunitense e inglese, o di finanziare gli squilibri delle bilance dei pagamenti fra i Paesi dell’area euro.
Queste proposte sono già sul tappeto insieme ad altre che riguardano, ad esempio, la parziale europeizzazione del debito degli Stati dell’Unione o la mobilitazione, attraverso il bilancio dell’Unione o tramite fondi specializzati, di consistenti parti degli enormi giacimenti di risparmio presenti nell’area e soprattutto nei Paesi in attivo di bilancia dei pagamenti per politiche di investimento di dimensione europea o nazionale dirette anche a ridurre le divergenze di competitività fra i vari Paesi.
Ora si tratta di sapere che tipo di campagna elettorale intenda fare la sinistra: se avanzare le proposte già sul tappeto che nel complesso delineano una strategia concretamente alternativa a quella dell’austerità e concretamente orientata a rafforzare l’unità politica dell’Unione, oppure se autocensurarsi sapendo che alcuni governi europei so- no contrari a tali proposte e che alcune di esse richiedono una modifica dei trattati.
Presentare una chiara linea alternativa è l’unico modo per impedire che la campagna elettorale si risolva in un confronto fra due linee di destra: quella dell’austerità ora in auge e quella della destra nazionalista, che al crescente malcontento verso le politiche dell’Unione offre come risposta l’annullamento dell’euro e la sostanziale riduzione del livello di integrazione economica e politica dell’Unione.
L’Unità 27.03.14