Questo è un momento di dura prova per l’Europa e gli Stati Uniti, come pure per l’ordine internazionale che ci siamo adoperati a costruire per generazioni. È proprio qui in Europa che, in secoli di conflitto, tra guerre e Illuminismo, repressioni e rivoluzioni, ha iniziato a prendere forma e affermarsi un insieme specifico di ideali, il principio che il potere deriva dal consenso di chi è governato, e che per tutelare questo principio si devono stabilire leggi e istituzioni. Questi ideali, però sono stati minacciati da una visione del potere più antica e più
tradizionale.
Questa visione sostiene che gli uomini e le donne comuni siano di vedute troppo corte per poter badare ai propri affari, e che ordine e progresso possono esserci soltanto quando i singoli rinunciano ai propri diritti a vantaggio di una potente sovranità collettiva.
Sotto molti punti di vista, la storia dell’Europa nel XX secolo ha rappresentato lo scontro di queste due categorie di ideali. Questa mattina nei campi delle Fiandre mi è tornato in mente come la guerra tra i popoli abbia mandato un’intera generazione incontro alla morte nelle trincee e per i gas della Prima guerra mondiale. A distanza di soli vent’anni l’estremismo nazionalista fece ripiombare ancora una volta questo continente nella guerra — con popoli schiavizzati, grandi città ridotte in macerie e decine di milioni di persone trucidate, compresi coloro che persero la vita nell’Olocausto. È in reazione a questa tragica storia che, all’indomani della Seconda guerra mondiale, l’America si alleò con l’Europa per respingere le oscure forze del passato ed edificare un nuovo edificio di pace. Da un lato all’altro dell’Atlantico abbiamo abbracciato una visione condivisa di Europa; una visione che si basa sulla democrazia rappresentativa, i diritti dell’individuo, e il principio che le nazioni possono soddisfare gli interessi dei loro cittadini con il commercio e il libero mercato; una rete di sicurezza sociale e il rispetto per chi professa una religione diversa o ha origini diverse.
Per decenni, questa visione è rimasta fortemente contrastante con la vita dall’altra parte della Cortina di Ferro. Per decenni si è combattuta una battaglia che alla fine è stata vinta, non con i carri armati e i missili, ma soltanto perché i nostri ideali hanno sollevato gli animi degli ungheresi che hanno fatto scoppiare la scintilla di una rivoluzione; i polacchi nei loro cantieri navali si sono schierati dalla parte di Solidarnosc; i cechi hanno combattuto la Rivoluzione di velluto senza sparare un solo colpo; e i berlinesi dell’Est hanno marciato oltre le sentinelle e alla fine hanno abbattuto il Muro.
Io oggi sono qui per sottolite che non dobbiamo mai dare per scontato il progresso che si è riusciti a ottenere qui in Europa, e che ha fatto passi avanti in tutto il mondo. È proprio questa la posta in gioco oggi in Ucraina. La leadership russa sta sfidando verità che soltanto fino a poche settimane fa parevano palesi: che nel XXI secolo i confini dell’Europa non possono essere ridisegnati con la forza; che il diritto internazionale ha la sua importanza; e che i popoli e le nazioni possono prendere le loro decisioni al riguardo del loro futuro.
Negli ultimi giorni Stati Uniti, Europa e i nostri partner di tutto il mondo si sono uniti nella difesa di questi ideali, si sono uniti a sostegno del popolo ucraino. Insieme abbiamo condannato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e abbiamo respinto la legittimità del referendum in Crimea. Insieme abbiamo isolato politicamente la Russia, sospendendola dal novero delle nazioni del G8, e abbiamo circoscritto i nostri rapporti bilaterali. Insieme stiamo imponendo alla Russia e ai responsabili dei recenti avvenimenti uno scotto da pagare tramite sanzioni che hanno lasciato il segno. Non fraintendetemi: né gli Stati Uniti né l’Europa hanno interesse alcuno a controllare l’Ucraina. Noi non abbiamo spedito lì i nostri soldati. Quello che vogliamo per il popolo ucraino è che esso riesca a prendere le sue decisioni, proprio come qualsiasi altro paese libero nel mondo. Sia chiaro: non stiamo entrando in una seconda Guerra fredda. Dopo tutto, a differenza dell’Urss, la Russia non guida un blocco di nazioni o un’ideologia globale. Né gli Stati Uniti né la Nato hanno intenzione di entrare in conflitto con la Russia. In verità, per oltre 60 anni all’interno della Nato non abbiamo rivendicato le terre altrui, ma insieme abbiamo lavorato per mantenere libere le nazioni. Quello che faremo — e lo faremo sempre — è mantenere il nostro obbligo solenne, il dovere prescritto dal nostro Articolo 5, di difendere la sovranità e l’integrità territoriale dei nostri alleati. Le nazioni della Nato non si troveranno mai sole.
Naturalmente, l’Ucraina non è membro della Nato, in parte a causa della sua storia complessa con la Russia. La Russia non sarà estromessa dalla Crimea o fermata nell’escalation dalla forza militare. Ma col tempo, se rimarremo uniti, il popolo russo si renderà conto di non poter raggiungere con la forza bruta quella sicurezza, quel benessere e quello status ai quali aspira. Questo è il motivo per il quale per tutto il tempo di questa crisi abbineremo sempre le nostre forti pressioni sulla Russia a un approccio diplomatico, tenendo le porte aperte. Io credo che sia per l’Ucraina che per la Russia una pace stabile sia raggiungibile tramite un’inversione dell’escalation, con un dialogo diretto tra Russia, governo ucraino e comunità internazionale, con supervisori che garantiscono che i diritti di tutti gli ucraini sono tutelati.
Noi americani ricordiamo benissimo gli inimmaginabili sacrifici compiuti dal popolo russo durante la Seconda guerra mondiale e abbiamo reso loro onore. Dalla fine della Guerra fredda, abbiamo collaborato per allacciare rapporti culturali, commerciali e con la comunità internazionale. Insieme, abbiamo messo al sicuro dai terroristi armi e materiali nucleari. Abbiamo accolto la Russia nel G8 e nell’Organizzazione mondiale del commercio. Dalla riduzione delle testate atomiche fino all’eliminazione delle
armi chimiche in Siria l’intero pianeta ha tratto beneficio quando la Russia ha deciso di collaborare sulla base dei reciproci interessi e del mutuo rispetto. Il mondo è interessato a una Russia forte e responsabile, non a una Russia debole. E noi vogliamo che il popolo russo viva in sicurezza, prosperità e dignità come qualsiasi altro, fiero della propria storia. Ma ciò non significa che la Russia può invadere e calpestare i propri vicini. Solo perché la Russia ha radici storiche profonde in comune con l’Ucraina non significa che deve poter imporre a suo piacere il futuro all’Ucraina.
Gli ideali che ci uniscono hanno la medesima importanza per i giovani di Boston e di Bruxelles, di Giacarta e di Nairobi, di Cracovia e di Kiev. Noi sappiamo che ci sarà sempre intolleranza. Ma invece di temere l’immigrato, possiamo accoglierlo. Invece di prendere di mira i nostri fratelli gay e le nostre sorelle lesbiche possiamo utilizzare le nostre leggi per tutelarne i diritti. Invece di definirci in opposizione agli altri possiamo affermare le aspirazioni che possediamo in comune. È questo a renderci forti. È questo a renderci chi siamo.
( Dal discorso tenuto ieri davanti alla Gioventù Europea a
Bruxelles)
Traduzione di Anna Bissanti
La Repubblica 27.03.14