L’umanità è composta da donne e uomini. Rispettarne l’uguaglianza riconoscendone la differenza è un segno di civiltà, che conduce alla condivisione del governo dei processi politici, culturali, economici e sociali. Si tratta di una scelta fondamentale, profonda, cui consegue chiaramente che le donne, al pari degli uomini, sono indispensabili per lo sviluppo economico e sociale dell’umanità e che la parità di genere e le politiche concrete di pari opportunità non sono il punto di vista di una parte o l’obiettivo proprio delle donne ma temi che riguardano tutti.
A mettere nero su bianco che le donne sono «soggetto politico che vuole e deve partecipare ai processi di crescita e di sviluppo» indispensabili per consentire agli Stati e ai governi di raggiungere gli obiettivi del Millennio è l’Onu, in particolare la Commissione sulla condizione femminile alla cui 58esima sessione abbiamo partecipato in rappresentanza del Parlamento italiano. Da quel punto di osservazione, in cui ci siamo trovate per qualche giorno, il voto della Camera che ha bocciato gli emendamenti all’Italicum sulla rappresentanza di genere, è apparso ancora più amaro. Mentre lì, nel quartiere generale dell’Onu, donne ed uomini provenienti da tutto il mondo si confrontavano su come sbloccare il potenziale delle donne spezzando, ove necessario, anche le catene «invisibili» o meno evidenti, e cioè quelle formate da rapporti di potere sbilanciati, norme sociali, prassi e stereotipi discriminatori consolidati, in Italia si sprecava un’opportunità storica, quella di rispondere cioè con i fatti ad una delle maggiori preoccupazioni indicate proprio dalla Commissione nel suo documento finale: la presenza ancora troppo bassa delle donne nei Parlamenti nazionali.
L’amarezza per i fatti italiani, però, non ha cancellato la straordinaria ricchezza degli incontri e dei dibattiti fatti in quei giorni che ci hanno dato la spinta per continuare con maggior impegno e determinazione, sulla stessa identica strada. Partecipare ai lavori della Commissione ci ha permesso di entrare in contatto con tante realtà, distanti dalla nostra e tra loro.
E tuttavia, su un punto tutte le partecipanti e partecipanti dei lavori della Commissione sono stati d’accordo: se molto è stato fatto in termini di equality gender nel mondo, tanto ancora resta da fare. Ecco perché crediamo che l’appuntamento dell’anno prossimo con la Commissione, quello in concomitanza con il Ventennale della conferenza delle donne di Pechino (piattaforma del 1995 che parlò di mainstreaming e empowerment ) sia un’occasione da non perdere, anche per il Parlamento italiano. Come rappresentanti dell’Italia vogliamo e dobbiamo dare un contributo forte all’agenda degli impegni post 2015. E da questo punto di vista è indispensabile che Camera e Senato si aprano all’esterno, recependo indicazioni da tutti quegli enti, soggetti e associazioni che operano quotidianamente per la costruzione delle condizioni per la libertà femminile, la parità e le pari opportunità.
In tal senso, è molto importante e dirimente che sempre più uomini si assumano la propria parte di responsabilità nel riconoscere il valore della differenza di genere e nel sentire come propria la sfida della parità. Una sfida per un nuovo e più moderno patto tra don- ne e uomini per una umanità e una comunità più rispettosa del valore e della dignità di ognuno e di ognuna. È una sfida impegnativa, ma a cosa serve la politica, se non anche a tentare strade e percorsi mai battuti?
L’Unità 24.03.14