L’ultima circolare lo scriveva chiaro il 7 marzo del 2013. E non cambiava, di una virgola, quello che aveva già sostenuto l’anno prima. «I contributi scolastici sono volontari». E ancora: «Nessun istituto può subordinare l’iscrizione degli alunni al preventivo versamento del contributo». In caso contrario «non solo è illegittimo, ma si configura come una grave violazione dei propri doveri d’ufficio». Più esplicito, non si può.
E, invece, le cose non stanno proprio così. Decine di istituti scolastici continuano a fare finta di nulla. A volte cambiano il nome del «contributo», ma non la sostanza. In alcuni casi avvertono, usano toni da ultimatum. E per la famiglie si traduce in un costo di almeno 60 euro. In alcuni casi anche di 300.
Su siti come Skuola.net continuano ad arrivare decine di segnalazioni. Una situazione inaccettabile, secondo il Miur. «Mettere la scuola al centro per il governo significa non solo restaurare muri e ridipingere pareti, come stiamo facendo — spiega al Corriere il ministro dell’Istruzione Stefania Giannini —, ma anche tornare a investire per migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’offerta formativa, cosa che ci siamo impegnati a fare». Proprio per questo, «non è possibile obbligare le famiglie, con metodi inappropriati, a pagare contributi che per definizione sono volontari. Questo deve essere un principio inderogabile. I presidi lo sanno, ma se qualcuno non dovesse ricordarselo lo faremo noi con una nota che ribadirà questo concetto».
Complici i tagli degli ultimi anni, le scuole hanno sempre meno risorse a disposizione. E così, per trovare un po’ di soldi, si rivolgono ai genitori degli alunni iscritti. Soldi che qualche istituto — segnalano dal ministero — destina in parte alle voci di spesa relative al funzionamento stesso della struttura. Compresi i costi per le fotocopie e il materiale didattico. «I nostri bilanci sono ridotti all’osso — spiega il preside di un liceo scientifico lombardo che chiede di restare anonimo —, se viene meno proprio quel contributo dato dai genitori allora è meglio chiudere. Non è un problema soltanto mio, ma di tante scuole dell’area».
«Io chiedo 80 euro, non basta, ma almeno mi arriva qualcosa», aggiunge un altro preside, di un liceo classico toscano. Che propone: «Quei contributi per noi sono vitali: forse sarebbe il caso di togliere il velo di ipocrisia e accorparli alle tasse scolastiche».
«Ma allora dobbiamo pagare o no?», è la domanda di mamma e papà. E intanto si improvvisano giuristi, cercano sul web documenti e leggi. Ricevono comunicazioni di presidi «a volte sgradevoli». Prendiamo, per esempio, una circolare di un liceo di Cuneo. Punti esclamativi inclusi. Scrive il dirigente: «Si ricorda che i contributi, se pure non obbligatori, sono richiesti perché indispensabili per il funzionamento dell’istituto». Quindi il suggerimento: «Per gli alunni, le cui famiglie non intendono versare i contributi, vi sono due possibilità. Pagare ogni volta la quota relativa al servizio, all’acquisto di cui usufruiscono (esempio: pagare ogni fotocopia, ogni ingresso nell’aula informatica). Strada di fatto non percorribile!». Oppure «usufruire di tutti gli strumenti, di tutti i servizi, perché gli altri alunni hanno pagato».
Più a est, un liceo scientifico di Milano chiede 150 euro quale «contributo spese di funzionamento». Per arrivare a Mestre, dove i 120 euro (per chi si iscrive al secondo anno) e i 130 euro (per la registrazione alle classi 3°, 4° e 5°) servono, tra le altre cose, anche alla «parziale copertura delle spese di fotocopiatura».
«Al netto di chi ha l’esonero per merito, motivi economici o appartenenza a speciali categorie — chiariscono dal ministero — sono obbligatorie soltanto le tasse di iscrizione, di frequenza, di esame e di diploma». Tutto quello che eccede questa cifra — vedi alla voce: contributi scolastici — «può essere chiesto, ma i genitori non sono costretti a pagare». Resta in piedi un Regio decreto del 1924 e riguarda soltanto gli istituti tecnici, professionali e l’artistico. Quei contributi, chiamati «di laboratorio», si devono pagare. Tutte le irregolarità, continua il Miur, si possono segnalare «agli Uffici scolastici regionali che sono responsabili della vigilanza sulle scuole».
Il Corriere della Sera 24.03.14