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"Il potere della (Dis)informazione nell’era della grande credulità", di Walter Quattrociocchi e Gianni Riotta

La Camera Alta della Repubblica ha stanziato la cifra con 257 voti a favore e 165 astensioni. Come capirete, in questa stagione di corruzione politica e sdegno popolare contro i privilegi della «casta » l’improvvida iniziativa del senatore Cirenga ha sollevato online, nel cosiddetto «popolo del web», un’ondata di proteste. In oltre 36 mila condividono l’appello per denunciare Cirenga, la sua pagina Facebook, con tanto di foto, è consultata con irritazione, peccato però che non ci si accorga – Google sta lì per questo – che nessun senatore si chiama Cirenga, che il sito del Senato non reca notizia della legge, che la somma dei voti è 422, mentre i senatori son 315 (più i senatori a vita). 134 miliardi di euro sono un decimo circa del Prodotto interno italiano, cassaforte eccessiva perfino per l’ingordigia dominante.

Perché in tanti abboccano a una notizia palesemente falsa, «una bufala » in gergo, come mai la Rete diffonde e discute sui siti un’ovvia finzione, come si informano online gli utenti e come distinguono tra testate con un controllo professionale dei testi e homepage dove invece ciascuno posta quel che gli aggrada senza controlli? Secondo una ricerca 2014 del World Economic Forum, curata dalla professoressa Farida Vis dell’Università di Sheffield, tra i dieci pericoli maggiori del nostro tempo c’è «la diffusione di false notizie», capaci di disorientare il dibattito politico dai temi reali, la Borsa e i mercati dall’economia concreta e sviare l’opinione pubblica sumiti come l’Aids non legato all’Hiv, i vaccini che diffondono autismo, le scie chimiche degli aerei seminatrici dimorte.
Come dunque individuare le fonti inquinate dell’informazione e chi sono i cittadini più esposti alle fole? Se lo chiede un team di studiosi della Northeastern University di Boston, dell’Università di Lione e del Laboratory of Computational Social Science (CSSLab) del Centro Alti Studi Imt di Lucca (Delia Mocanu, Luca Rossi, Qian Zhang, Màrton Karsai, Walter Quattrociocchi) in una ricercadal titolo rivelatore: «Collective Attention in the Age of (Mis)information», l’attenzione collettiva nell’età della (dis)informazione (http://goo.gl/6TxVfz). Dai risultati, purtroppo, si evince che l’attenzione pubblica è scarsa e la disinformazione potente al punto che spesso è considerata dai cittadini pari all’informazione classica.

Per molti utenti della Rete il tempo dedicato ai miti e quello speso analizzando i fatti si equivalgono. Chi comincia a bazzicare siti dove complotti, false notizie e deformazioni vengono creati in serie, rapidamente si assuefà e perde senso critico. Lo studio conferma una delle caratteristiche più infide del nostro tempo online: su testate satiriche o forum aperti, i «trolls», utenti anonimi che diffondono battutacce, menzogne, grossolane e comiche esagerazioni, vengono spesso equivocati per fonti autorevoli e il loro teatrino scambiato per realtà. Un esempio recente, quando la voce dell’enciclopedia Wikipedia relativa al filosofo Manlio Sgalambro è ritoccata nelle ore della sua morte, rendendo l’austero studioso «autore di “Madama Doré” e “Fra Martino Campanaro”». All’assurda «trollata» credono persone comuni e autorevoli testate. Lo studio ha seguito oltre 2.300.000 persone su social media come Facebook durante la campagna elettorale politica italiana del 2013 e i risultati negano la tesi popolare dell’«intelligenza collettiva» che animerebbe la Rete, provando invece l’esistenza di un iceberg grigio di «credulità collettiva». I seguaci delle «teorie del complotto» credono che il mondo sia controllato da persone, o organizzazioni, onnipotenti, e interpretano ogni smentita alle proprie opinioni come una manovra occulta degli avversari.

La ricerca prova come la dinamica sociale di Facebook, mischiando in modo apparentemente neutrale vero e falso, finisca per affermare le menzogne sulle verità. Gli attivisti online via Facebook evitano di confrontarsi con fonti che contraddicono le loro versioni, persuasi che spargano falsità per interessi spregevoli. Il dibattito langue, le versioni diverse non trovano una sintesi, i «trolls» spacciano sarcasmi per notizie. Preoccupazione suscita la par condicio online tra fonti prive di autenticità e siti professionali, chi cerca informazioni finisce per dedicare la stessa attenzione a bufale tipo «Senatore Cirenga» e alla vera riforma del Senato, spesa pubblica, governo. «Ex falso sequitur quodlibet» è massima della logica tradizionale, attribuita spesso al filosofo Duns Scoto, ma in realtà di autore ignoto: da premesse fasulle potete far derivare sia proposizioni «vere» che «false», con la terribile conseguenza di non potere distinguere bugie e realtà. Il web, dimostra la ricerca sulla (Dis)informazione, può trasformarsi in guazzabuglio «Quodlibet» alla Cirenga.

E un cittadino, quando si avvia per la strada dei miti online, tende a perdersi nel labirinto delle bugie: chi è disposto a comprare la bubbola dell’Aids che non deriva dal virus Hiv, deduce poi che l’Aids è stato creato dal governo americano per decimare gli afroamericani, e così via via per l’11 settembre, il Club Bilderberg che controlla l’economia mondiale, le scie chimiche: date uno sguardo al web, edicole e talk show…

La Stampa 22.03.14