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"Europee, sì alla parità di genere Ma entra in vigore solo nel 2019", di Claudia Fusani

Sul gran tavolo delle riforme, incardinato al Senato, si comincia a fare un po’ di ordine. Complice, anche, il gradimento europeo al piano Renzi. Sono cinque i dossier che scottano, e ballano. Ciascuno, a suo modo legato agli altri.
La prima casella risolta è quella della legge elettorale europea che viene licenziata (tra ieri sera e stamani) dopo giorni di stallo. Sconfitta, ancora una volta, la parità di genere. Con buona pace del Pd che ieri pomeriggio a maggioranza, ma segnando l’ennesima spaccatura (capofila la senatrice Lo Moro), ha rinunciato al principio dell’alternanza nel voto europeo del 25 maggio. La legge lo stabilisce ma a partire dal 2019. Per ora ci si deve accontentare del fatto che se il cittadino elettore esprimerà tre preferenze, una dovrà essere per forza una donna. Come sempre, nulla è quello che appare. Il vero «pericolo» – dal punto di vista di Fi e Pd – di questo testo era però la soglia di accesso che veniva abbassata dal 4 al tre per cento. Una vera iattura per Forza Italia che, nel caso, avrebbe «disperso qualcosa come sei punti percentuali di consenso». Blindata la soglia, che resta al 4%, sono stati accontentati ancora una volta tutti coloro che non vogliono legarsi ad impicci di genere nella formazione delle liste.

In cambio di questo passo avanti, il Pd renziano ha portato a casa il via libera sul disegno di legge Delrio, il secondo dossier che scotta, che abolisce nei fatti le province. Per palazzo Chigi era un punto dirimente. Lo stallo durava da settimane e il rischio era di tornare a votare per le Province nell’election day del 25 maggio. Una beffa per chi ha fatto di semplificazione, riforme e tagli il core business del suo mandato politico. L’accordo raggiunto ieri pomeriggio tra centrodestra e centrosinistra cancella le Province: non ci sarà la scheda elettorale; i presidenti restano in carica in quanto commissari (il che risolve qualche problema a Fi e Ncd che insieme hanno 48 presidenti di Provincia in carica) così come gli assessori ma con stipendi più bassi; cancellati i consigli provinciali. Fermo da settimane in commissione Affari Costituzionali, il ddl Delrio (che sarà poi integrato dalla riforma costituzionale del Titolo V che abrogherà le Province) ieri sera è stato votato a oltranza in seduta notturna e settimana prossima avrà il via libera dell’aula.

Sul tavolo restano i tre dossier più pesanti: legge elettorale, riforma del Senato che significa fine del bicameralismo e riforma del Titolo V, quella parte cioè della carta costituzionale che ha subito varie modifiche a partire dagli anni settanta, terminate nel 2001 e che nei fatti ho moltiplicato i poteri delle Regioni e di conseguenza gli sprechi soprattutto sulla Sanità.

Il Pd farà una direzione la prossima settimana. Incrociando le dichiarazioni del capogruppo Luigi Zanda con indiscrezioni filtrate da alcune riunioni con Anna Finocchiaro, presidente della commissione Affari costituzionali, nel Pd sembra essere stato raggiunto l’accordo per cui «la precedenza adesso viene data alla riforma del Senato insieme a quella del Titolo V». I renziani vorrebbero concludere l’iter delle legge elettorale ma sono disponibili a un passo indietro incardinando la riforma del Senato insieme a quella del Titolo V. La bozza Renzi, le 40 pagine presentate mercoledì scorso, «sono un buon punto di partenza». Il senatore pd Nicola Latorre, convertito al renzismo, è ottimista anche sui contenuti: «Bisogna ancora discutere un po’ sulla funzioni, ma siamo a buon punto». Il Senato non darà più la fiducia, diventerà Assemblea del- le autonomie, sarà composto da consiglieri regionali eletti nelle singole regioni, avrà 21 nominati dal Presidente della Repubblica. Tra le funzioni, la possibilità di proporre leggi (da approvare entro 60 giorni alla Camera), il voto su riforme costituzionali, modifiche alla legge elettorale, leggi europee. Il Pd vorrebbe inserire anche i diritti civili.

Questo schema, per tempi e contenuti, non sta bene a Forza Italia. «Finocchiaro proporrà di anteporre il Senato all’Italicum ma noi ci opponiamo» avverte un senatore. Ma i problemi degli azzurri nei prossimi giorni sono altri. Riguardano Berlusconi, la sua agibilità politica e la tenuta stessa del partito. Appoggiare le riforme sembra, per Fi, una strada obbligata.

L’Unità 19.03.14