Ingelosito forse dalla constatazione che il vessillo minaccioso delle “ronde” sia stato impugnato dalla destra di governo, un manipolo della residua galassia comunista ha deciso di impugnarne il copyright a Massa, promuovendo una “ronda proletaria e antifascista”.
Da non confondersi con le “ronde fasciste” di antica memoria, ma ugualmente carica di significati minacciosi e soprattutto vogliosa di fare a botte con la concorrenza “autorizzata” nell’Italia 2009. Con l’ovvio risultato di costringere le forze di polizia a un impegno supplementare che sarebbe stato meglio risparmiare loro.
I disordini di Massa, botte fra militanti di opposta tendenza, feriti e successivo blocco della stazione ferroviaria, riecheggiano sinistramente gli scontri fisici che trent’anni fa degenerarono nel sangue, con perdite di numerose giovani vite umane. Già negli anni Settanta risultava anacronistica e insensata la ferocia con cui si pretendeva di rinnovare una guerra civile tra fascismo e antifascismo. La notizia di questo revival massese, però, scandalizza innanzitutto per la sua prevedibilità.
Quando è lo stesso ministro degli Interni a invocare le “ronde” come antidoto alla delinquenza. Quando un prefetto e un questore dello Stato presenziano (è accaduto a Treviso) a un incontro di partito per la formazione delle ronde. Quando il comune di Milano finanzia una ronda – i “Blue Berets”- guidata da iscritti della “Destra nazionale Msi” (il contratto è stato revocato solo dopo la rivelazione di “Repubblica”). Ebbene, sarebbe ingenuo sperare che altri non si mettano in competizione nella corsa al peggio.
A questo punto è augurabile che il governo corra ai ripari e recepisca le obiezioni al “pacchetto sicurezza” inviategli per lettera dal presidente Napolitano. Le ronde non sono oggi e non saranno domani d’aiuto al mantenimento dell’ordine pubblico. Nella migliore delle ipotesi rappresentano il simbolo ideologico di una volontà di controllo del territorio. Nella peggiore, realizzano una sinistra commistione fra l’autorità statale e il suo braccio politico articolato in forma di milizia. Ma in entrambi i casi, le ronde hanno già dimostrato di comportare un aggravio, e non un sollievo, al lavoro delle forze di polizia. Destinate a fronteggiare anche una nuova contrapposizione di piazza fra estremisti governativi e antigovernativi, ben lieti di mascherarsi dietro alla foglia di fico della ronda. L’episodio di Massa anticipa questo scenario.
Il ministro Maroni ha risposto a Napolitano che la degenerazione politica delle ronde potrà essere scongiurata dal suo regolamento attuativo, che si cautela imponendo requisiti nella selezione dei “volontari per la sicurezza”. C’è un’evidente ipocrisia in questo tentativo di spoliticizzare a parole quello che fin dall’inizio è stato brandito come un minaccioso intento politico. Ma a smentire il ministro leghista ci sono soprattutto i fatti, che Maroni non può certo ignorare.
Se è vero, infatti, che il regolamento ammette nel registro dei volontari per la sicurezza solo le associazioni che “non siano riconducibili a partiti e movimenti politici”, la verità è che sta accadendo esattamente l’opposto. In Lombardia un’apposita “Scuola di formazione” per aspiranti membri delle ronde è stata promossa, guarda caso, dai “Volontari verdi” il cui presidente onorario è Mario Borghezio. A sollecitare il reclutamento con pubbliche dichiarazioni è il leghista Max Bastoni, coordinatore delle “Ronde padane”. Bisogna fermare questo delirio – rosso, nero o verde – prima che sia troppo tardi.
La Repubblica, 27 luglio 2009
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