Piero Fassino, sindaco di Torino e presidente dell’Anci, perché il sistema dei Comuni sta saltando?
«Veniamo da sette anni caratterizzati da continue riduzioni delle risorse a disposizione dei Comuni. Si è caricato sulle nostre spalle molto del peso del risanamento dei conti pubblici, anche andando al di là del giusto. I Comuni hanno generato solo il 2,5% del debito pubblico del Paese, e gestiscono solo il 7,6% della spesa pubblica nazionale. Si capisce come non si possa pretendere di risanare i conti pubblici gravando esageratamente sui Comuni, che sono stati messi in ginocchio senza peraltro produrre risultati significativi sul versante del risanamento».
Spesso voi sindaci venite accusati di sprecare risorse pubbliche come e peggio degli altri. Come replica?
«Sono critiche francamente ingenerose. I sindaci hanno un rapporto diretto con i cittadini e rispondono direttamente a loro. A Torino come altrove la gente è perfettamente in grado di valutare come la città è amministrata e come sono spesi i soldi. Gli altri livelli istituzionali hanno invece forme di controllo assolutamente inesistenti. Qualcuno dice che anche i Comuni sono centri di spesa parassitari? Noi spendiamo per tenere aperti asili nido, scuole materne, per dare assistenza domiciliare agli anziani, per garantire il trasporto pubblico e molto altro. Ci occupiamo di cose che incidono quotidianamente sulla vita delle famiglie e delle persone. Se si vuole che i Comuni garantiscano questi servizi devono essere messi in condizione di farlo. Il che – voglio essere chiaro – non significa che tutti gli amministratori locali siano immuni da responsabilità, colpe ed errori. Il dissesto di Roma richiama pesantemente le responsabilità di chi ha amministrato la Capitale in questi anni. Ma questo dissesto rischia di scaricarsi su un sindaco che è stato eletto solo sei mesi fa. Come presidente dell’Anci rivendico la necessità che gli amministratori locali facciano scelte rigorose, e che garantiscano gli equilibri di bilancio e il risanamento che è essenziale anche a livello locale».
Come si spiega, però, che troppe volte si debba scoprire che città grandi e piccole non riescono a riscuotere neppure affitti, tasse o multe che sono loro dovute?
«Ci sono amministrazioni che non sono capaci di essere efficienti e rigorose, come è necessario. Un dissesto come quello di Roma dice che la città è stata mal governata, e ci sono gravissime responsabilità politiche. Sarebbe sbagliato però concludere che non ci sono problemi se Roma fallisse…»
Nel senso?
«A parte che si scaricherebbero sui romani colpe non loro, una notizia del genere farebbe le prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Con un danno di immagine che si tradurrebbe in un costo molto ma molto superiore al deficit da ripianare. Si denunci chiaramente chi ha sbagliato; siano sanzionati i responsabili in base alle leggi. Ma si consenta anche a chi adesso guida la città e ai cittadini di poter uscire da questa stretta. Evitiamo una catastrofe che sarebbe gravissima. Dopo, però, si devono adottare quelle politiche di risanamento, di rigore, di rientro dal debito che negli anni scorsi Roma non ha messo in campo. Bisogna salvare una città non perché continui a fare debiti, ma perché acquisisca una stabilità finanziaria».
La Stampa 28.02.14